Tuesday, May 31, 2005

Io e christian abbiamo preso tre banane, le abbiamo scelte un po’ molli, gialle - striate di marrone - con quelle inequivocabili macchie che preannunciano il catarro, ecco - le abbiamo prese di un giallo tempesta.
La finestra del balcone era aperta, niente sul tavolo, niente sull’armadio, l’acquaio satinato completamente asciutto e vuoto, non c’era nessuna urgenza, e posaceneri irriconoscibili sotto riverberi da sala operatoria.
Abbiamo steso le banane sul tavolo, con un paio di guanti in lattice ci siamo accarezzati, poi abbiamo tolto la buccia, io come un mama-non-mama, lui come pelle di cadavere.
Quando erano nude, erano del colore giusto, allora ne abbiamo sfilate le strisce di protezione e le abbiamo riadagiate sul tavolo prima di infilzarle con le forchette della burguignone e metterle in freezer.
Domani o quando ci sentiremo pronti io e il mio uomo le scongeleremo, le succhieremmo e cominceremo a giocare secondo Natura.

Monday, May 30, 2005

Ci sono tante piccole cose da mettere a punto quando arriva uno nuovo in azienda. Prima cosa guardargli le scarpe e la cravatta, prima le scarpe poi la cravatta. Farlo sedere, mai lasciarlo in piedi con in mano il budget 2005, potrebbe insospettirsi. Cancellare dalle pareti le tracce di fumo sopra tavoni. Togliere tutte le foto dello stabilimento in brasile dove finirà per i prossimi tre anni, questa a dire il vero è la prima cosa, prima di tutto.
Se arriccia il naso o si guarda in giro dimostrandosi sorpreso per un soffitto troppo basso, sventolargli il biglietto di prima classe sola andata, tamponargli la bocca al modo di un carnevale carioca prima che pronunci la parola “macroeconomia”. Confondere le carte facendogli credere di essere la persona giusta. Tenerlo al di qua dell’angolo ovest dell’ufficio dove ci sono cose che non potrà mai vedere. Quando esce rimpacchettare subito i computer, chiudere gli scatoloni e rimettersi a fare “partita doppia”, non prima di avere rimesso sul tavolo i men’s health e le novelle2000
“A Thomas, che sa annusare la mia gonna
a mia mamma foresta
a mia sorella tempesta
a mia nonna madonna.”


Vorrei averla scritta io una dedica così.

Thursday, May 26, 2005

Milan-Arsenal 3-0, Milan-Arsenal 3-3, Milan-Arsenal 5-6
Con due centimetri di tacchi abbasso il televisore e lascio spazio ai commenti, Andrea incrocia gli occhi e si schiaccia la montatura, si avvicina alla borsa di cuoio per inscenare una dimostrazione sulle cause della sconfitta: è un pugno allo stomaco. Di là qualcuno sembra rantolare nella più classica tradizione, allora esco con un bicchiere di pinot caldo, ma qua non ci sono zanzare che mi mangiano. C’è una luna rossonera. Andrea ormai si è arrotolato le maniche della camicia fino alle ascelle, digrigna i denti sopra la scena dell’omicidio rifatta su una scacchiera del subbuteo. Mi chiedono della droga, dico di guardare nel barattolo del caffè, ma non basta. Andrea è in ginocchio sul tappeto verde. Parla con le parole di un filosofo americano. Nessuno per fortuna lo ascolta, quelli che non sono in bagno tengono steso l’avambraccio sulla fronte. Andrea ripete ossessivamente tre parole “significato”, “effetto” e “pragmatismo”, mia sorella piange sopra la foto patinata di un bel giocatore ucraino con altre parole. Alla fine ci arrendiamo al mistero del calcio. Mi telefona la frà per ricordarci che la bolla si è rotta e i gufi sono volati via.
Verso l’una baldo esce dal bagno con un laccio emostatico: nottetempo si stringerà i testicoli per espiare tutte le colpe di un’umanità che aveva già vinto. Lo prego di riindossare le mutande e lo faccio accomodare fuori.

Wednesday, May 25, 2005

Vorrei sottoscrivere un manifesto per una “messa a fuoco”, nel senso dell’incendio, ma anche della messa ( funebre).

(Chi l’ha detto che i libri non vanno bruciati?) Propongo nuovi roghi medievali in questo inizio di millennio.
Bruciare tutti i libri che parlano in prima persona di drammi adolescenziali, che sono sfacciatamente autobiografici, anzi che sono scritti da adolescenti o presunti tali, che hanno fatto, hanno detto, hanno visto. Tutti quelli che hanno dietro un po’ di cinema, tanta televisione, i fumetti, solo libri o libretti dell’ultimo secolo. Sicuramente tutti i libri di chi sogna di fare lo scrittore, di chi parla del suo piccolo amore, del suo piccolo orto, del suo piccolo ufficio. Nessuna pietà per lo slang, il cannibalismo linguistico, quel senso di disperazione e di afasia dell’eterno studente, il tormento sentimentale, l’ostentazione della propria diversità, la messa in onda del punto più basso di qualsiasi cosa.
Buttarci insieme i diari sentimentali, i diari erotici, i diari di altre brigette. Se volete aggiungiamo anche i libri che vogliono insegnare qualcosa, i libri di viaggio, i libri di “ci scriverò un libro sopra”, di “guarda mamma senza mani!”. Non avere alcun rispetto per i libricini di meno di duecento pagine, sospettarne, almeno, con la consapevolezza, però, che ci sono delle ottime eccezioni.
Metterei nel calderone, una volta riconosciuti, quei libri che parlando del male, della delittuosità dell’uomo, che credono che scriverne sia un modo di liberarsene, al rogo tutti quelli credono che la letteratura sia una forma di catarsi dal fuoco, e non si sentono bruciare, a quelli noi vorremmo dare fuoco*.

Chi vorrà firmare sarà il benvenuto, ma nessuno lo saprà. Buona giornata a tutti.

*Ci scusiamo per il finale un po’ trombone, ma volevamo un clima di Manifesto ( non quello, l’altro quello novecentesco – questa volta per una nuova avanguardia oscurantista e intollerante da dilatare all’infinito)

Tuesday, May 24, 2005

La frà ha lasciato il moroso. Dicono che lui stia male ma che gli passerà, mi ricordano che ci sono stata anch’io. Ascolto e guardo fuori. Non ci sono teorie ben definite sulle cause dell’amore ma arriveranno presto con le nuove lauree brevi, tira un vento di bufera che mi consola. Provo a non sentire della coppia perfetta che si è spezzata, del compromesso storico tra passione e quotidianità, vorrei evitare anche le didascalie sul sapersi amare passati i primi caldi. Alla fine cedo e ascolto il programma di recupero, ma non so niente, giuro! - anche se sono la maggiore indiziata. Sono passati due governi, dico. E’ un alibi che non tiene: le mie amiche vogliono guardarmi dentro. Per fortuna un nuovo programma televisivo mischia le carte, e lascia cadere il filo, qualcuno lo sbroglia un po’ più in là -per conto suo, intanto noi usciamo.
Al ritorno mi sembra di essere superata dalla moto di Matteo, passa un foular argento sopra il cielo, come tirato da una slitta, mi viene in mente allora quando sentivo odore d’aglio ogni volta che metteva la quarta, e di come guardavo innamorata il suo cielo di lavagna.

Monday, May 23, 2005

Caro elefantino,
tira aria di ’68 nel suo giornale non se ne offenda. A noi piace essere portate là, senza nostalgia, da voi che fate i duri con la giovinezza, dalla vostra intelligenza un po’ cialtrona. Noi amiamo la letteratura più della storia e questo è un brutto periodo per le passioni furiose, per essere portate a cavalcioni nei cortei; è un brutto periodo per gridare quanto dovrebbe essere “rosso” il mondo. Così aspettiamo da voi un’allusione, senza l’ombra di quella balordaggine che è la professionalità. E ci facciamo un giro per la scarpata di Valle Giulia, ci proviamo con quel ragazzo romano fratello di una futura terrorista, ci stringiamo dentro la lana grezza dei paletò e dei vostri giorni migliori, poi ce ne rientriamo in prigione con un filo d’erba tra le labbra.

Sunday, May 22, 2005

Circa mezzanotte, ieri sera –sopra piazza vetra

Mi dice con la luce fluorescente che gli morde l’orecchio qualcosa, poi ripete perché capisce che non avevo sentito, era l’amico gimo che si chiedeva quando avremmo finito. Avremmo finito di fare che gli chiedo io.
L’amico gimo è su con la tina amica mia. Sussurra di una balena che avevo negli occhi e mi chiede quando ritorneranno di nuovo blu. Gimo aspetta che la balena si inabissi, la sigaretta fa da sola cerchi arancioni di bengala.
Certo. Lo assicuro. Non snifferò quella porcheria.

Friday, May 20, 2005

PICCOLI COMPORTAMENTI DI DESTRA
Non mancare alla proiezione del vanzina di natale, andarci con la coscienza a posto, appoggiati a una sana ironia senza sensi di colpa. Innanzitutto non lasciarsi abbindolare da strane manie, fare pure la racconta differenziata, ma pensare che si vive una volta sola: desiderare quella macchina costosa, comperare quel mazzo mirabolante di fiori, chi se ne frega se dura solo un giorno, pensare che comunque lo si è guadagnato con il sudore della fronte. Organizzare una festa da macdonald tutto compreso: con ronald che fa i trucchini con i palloncini, poi caricare gli scatoloni dei regali nella stationwagon, accarezzare il caschetto platino, finalmente andare a fare shopping come una giapponese in centro. Non lesinare cure varie e assortite per il proprio corpo, spingersi fino alla manicure, mettere un fiore sul cappello, pronunciare pure la parola “borsalino” senza vergogna. Andare in spiaggia con qualche centimetro di tacchi, una borsa di plastica trasparente e svariate protezioni, un libro comprato all’autogrill e il portafoglio del marito. Volere disperatamente qualcosa e poi averla. Pensare eventualmente a un lifting e alla prossima vacanza, magari solo per il week-end, all’aeroporto sentirsi su una passerella mentre si spinge il carrello con le unghie lunghe, la nuova abbronzatura e il cappello di paglia. Seguire le mostre d’arte anche lontano da casa, cercare l’evento buono per un buon vestito, minimalismo e qualche candelabro d’argento, edizioni adelphi. Curarsi oltre modo all’educazione dei figli puntando sul doposcuola e sull’inglese, attenti alla vacanza all’estero e che non tocchino i cani dei vicini, ma nemmeno caramelle degli sconosciuti. Amare le scarpe, le riviste patinate, gli occhiali da sole. L’acqua perrier, un tailor nero lucido, un grosso nodo alla cravatta e la laurea in economia aziendale non ci stanno male.
PICCOLI COMPORTAMENTI DI SINISTRA
Non dire che il film è bello se non c’è dentro qualche denuncia sociale, fare una faccia schifata se non hanno sputato addosso al dittatore capitalista, meglio se si riesce a rifiutare di vederlo prima (magari per andare a leggere qualcosa), appena si ha sentore di film addormenta-coscienza, osannare un michael moore di turno in vena di demistificazione, rintanarsi nel proprio sano pauperismo, o in qualche ricetta di mondo migliore; provare a chiudere il pugno, fermarsi due o tre secondi nella ricerca di quella vecchia ebbrezza che permetterà di alzarlo senza sentirsi ridicoli.
Evitare le cene con buffet, preferire ritrovi culinari poveri in cui a bordo campo ci sia un mercatino di artigianato fai da te, l’importante è non buttare via niente. Andare alla festa dell’unità se proprio si deve.
Cercare nel grigiore della città qualcosa di artistico, meglio se povero, fatto di stracci, in cui si riconosca la genuinità delle piccole cose, cose di una volta, fermarsi a contemplarlo, magari fotografarlo in bianco e nero.
Ancora vanno bene le manifestazioni in piazza, primo maggio, qualcosa di sindacale, di civile, i girotondi no: roba da fighetti.
Per i viaggi puntare su pazzeschi tour, evitare il mistico-spirituale - roba per fricchettoni, puntare su qualcosa di più sociologico, che permetta di toccare con mano le ragioni della disuguaglianza, e della povertà: in india in brasile in chiapas, tenere d’occhio l’indocina a patto che non diventi troppo di moda, con un buon zaino in spalla, evitando qualsiasi materiale tecnico, basterà il sorriso, il sandalo, la voglia di fare esperienza.
Dimenticarsi delle carne, anche se non si sa bene perché, non certo per una questione di salute, tenersi lontani da qualsiasi forma di “salutismo” – pensare piuttosto allo sfruttamento, alla sofferenza dell’animale, alla sua mercificazione, se proprio non si riesce a trovare altro ricordarsi che sulla carne ci hanno costruito un impero fast-food.

Thursday, May 19, 2005

Cominciare a fare sul serio su questo blog? E’ sicuramente un modo per vedere come le cose cambiano, e poi fra due tre, quattro anni tracciare quel bel grafico che tanto va di moda. Liberati i pensieri quand’erano ancora un puntino, riderci sopra nel vederli nuovi e diversi; incelofanare sentimenti e indignazione andati a puttane, in una meiosi intellettuale che si chiama maturità o più semplicemente “nuova idea”. Come fanno i giornalisti i politici gli uomini di stato, gli intellettuali e i mafiosi, ma anche gli storici e gli allenatori di calcio. La maturità compiacente di non essere più comunisti dopo esserlo stati, di passare dall’uomo alla zona, dall’eterosessualità alla omosessualità, di predicare la pace dopo ever preso a bombe il mondo in nome di un’ ”altra pace”: la giovinezza salva e rincoglionisce insieme. E’ un gioco nel buon nome dell’intelligenza e della ragione che trascina dietro i suoi cadaveri: sana dialettica di ogni battaglia. Cominciare a fare sul serio su questo blog significa entrare nel brulichio pensante della società civile, mettere giù la propria biografia politica sulle questioni che contano, per vedere come saranno vecchie già domani, insufficienti già domani. Si può iniziare a fare sul serio su questo blog dalla questione dei referendum, partire dalla fecondazione assistita; poi sarebbe ora di dire qualcosa sul perché non sono vegetariana, sul fatto che il vegetarianesimo dei miei amici mi fa incazzare, sulla guerra, quella in Iraq e quella in Uganda , avere un’idea sul successo editoriale del Codice Da Vinci e su tutti i libri di quella risma, centellinare qualche cosa di ben calibrato sul nuovo corso della chiesa cattolica, fermarsi a riflettere su ogni tipo di relativismo culturale, attenersi a qualche vecchio principio dell’economia politica per stigmatizzare la minaccia del mostro cinese, prepararsi all’uscita del nuovo libro di Melissa P., insomma queste e tante altre piccole cose per iniziare a fare sul serio.

Wednesday, May 18, 2005

Sono andata a vedere questo film, insieme a christian, venerdì alle ottoemezzo, al cinema brera, c’era in giro un sacco di gente, e in corsocomo un sacco di gente aveva il bicchiere in mano. Cercherò di raccontare la mia serata com’è andata, visto che mi è stato rimproverato uno scarso autobiografismo, - di non attenermi troppo alle “cose”. Io esco con Christian e sembra stia per piovere, ma non prendiamo l’ombrello, ci baciamo prima di uscire, fuori stiamo a una certa distanza, non ce lo siamo mai imposti, ci viene naturale, praticamente non ci tocchiamo. Sull’ascensore c’era una bella luce, fuori iniziava a gocciolare, vorrei che christian iniziasse a fumare senza filtro. Lui aveva il casco legato al motorino, lo prende per portarselo dietro, mi fermo a guardarlo. Vado via per tre mesi questa estate - glielo dico, lui sorride, poi cambia discorso: evril lavigne - in questo momento è una sua fissa, me ne parla continuamente, ha talento mi dice, grinta, io penso che gli faccia sesso e glielo faccio notare questa volta, non mi guarda, arriccia il foglio e me lo picchia in testa. Và beh, non è stata male - la serata. Dopo il film ci mettiamo a letto, ascoltiamo in sottofondo complicated mentre riprendiamo a baciarci (io penso intensamente alla scena della mongolfiera e a tutte le sue implicazioni simboliche).

Tuesday, May 17, 2005

Venerdì sera ho visto un film che sarebbe potuto essere il film migliore dell’anno, nel senso che le premesse della storia, la regia, l’appeal cinematografico erano ottime, ma poi un motivo troppo sfacciatamente hollywoodiano l’ha rovinato, disunendolo, (o meglio) non l’ha lasciato lievitare. Ecco se non l’avete capito mi sto mettendo a fare la recensione di questo film.
Metto da una parte le cose che mi sono piaciute e dall’altra quelle che l’hanno ingessato.

Le cose che mi sono piaciute:
- Il protagonista ( a un certo punto) sembra dialoghi con uno spettro, potresti credere che “il cattivo” non sia vero, metti in dubbio tutto quanto hai creduto fino ad allora – sensazione rinforzata da un clima sempre sul piovoso, certo umido – che ricorda sfacciatamente la danimarca del principe amleto.
- Il tema del ritratto, della maschera(solo abbozzato) [quando il protagonista scopre il suo ritratto avrebbe potuto trovarsi davanti non la sua faccia ma la faccia dell’altro, del “cattivo”, cioè il suo doppio, la sua parte malata, il dottor jekyll].
- Il bandolo del plot sembra snodarsi nella direzione di un certo tipo di noir (ricostruzione a ritroso – cioè scavandone il passato – di vite che per caso si ritrovano unite in una fatalità drammatica) ma non lo fa fino infondo o meglio rimane sempre in sospeso, una possibilità che incrocia la vicenda personale, il tormento psicologico del protagonista. A un certo punto si ha l’impressione che la storia possa aprirsi in direzioni diverse e non finire lì dove poi finisce, ecco almeno per tre quarti del film questa sensazione è piacevole.
- La pugnalata così a sangue freddo – senza premesse - che sembra una messa in scena, così poco cinematografica che non si vede quasi, lei non urla neanche. Il bacio omosessuale al confronto della pugnalata non vale niente.
- Le facce azzeccate dei protagonisti, tagliate spesso da luci pastello di candela o di abajour, ci stanno bene con l’ambiente intellettuale molto artista, tuttosommato borghese, gli interni, le librerie, il loft, i vestiti e le discussioni fanno il resto nella direzione dell’appeal cinematografico, in più ci metto alcune scene abbastanza surreali che stridono con l’ambiente da salotto aprendo un “altrove” più allucinato sul fondo familiare e quotidiano, bhè a parte la scena iniziale che per me è stata un’epifania, anche quella dove i due pregano davanti a un cadavere caduto dal cielo e impiantato a terra, pregano come davanti a un totem mentre pascolano le pecore; allucinata è sicuramente la faccia del cattivo, il suo taglio di capelli i suoi vestiti.
- La storia finisce là dove inizia, sullo sfondo di una natura smisuratamente bella e distante – vorrei dire leopardiana se non sembrasse troppo – si ha una sensazione di ritorno a casa, di chiusura del cerchio di ritorno sul luogo del delitto, all’inizio è primavera alla fine autunno: una specie di biologia musicale.

Le cose che l’hanno ingessato:
- La figura del personaggio protagonista che è un professore di filosofia o di lettere che filosofeggia nella maniera più bieca sull’amore, cioè roba da baci perugina, e visto che il film è sulla morbosità/deformazione dell’amore, sembra che tali pensieri debbano avere un peso niente affatto ironico, anzi ne dovrebbero costituire l’intelaiatura teorica, una chiave di lettura attraverso cui si dovrebbe accedere a una “certa profondità”, questo è imbarazzante e fa cadere gran parte nel ridicolo, la figura del protagonista ( e parte della storia) ci rimane schiacciata sotto, posticcia – e si che l'attore aveva la faccia giusta.
- La casa del cattivo psicopatico, con la parete tappezzata di foto e di ritagli di giornale rimaneggiate ( gli occhi cancellati) delle sue vittime/ossessioni – non se ne può più.

A dirla tutta le cose che mi sono piaciute, rimangono slegate, abbozzate, si rimane in attesa che vengano unite in qualcosa di diverso dal solito thriller, in un risultato che ce le faccia ritrovare fuse, un impasto artistico insomma, ovvero la messa in crisi del senso (tipo i soliti sospetti o the others, o il sesto senso – ) invece su tutti i motivi di cui sopra prevale la traccia del classico serial killer hollywoodiano con corsa finale incontro all’assassino – c’è da dire che fino alla metà del film aleggiava già questa possibilità ma viene tenuta buona dietro le quinte, ecco basta….ma certo la scena iniziale (come avete avuto modo di capire) mi ha ripagata di tutto.

Monday, May 16, 2005

Il landscape occupa tutto lo schermo in una curvatura d’azzurro e di verde, sembra la scenografia cartapesta di un teatro, un’immagine senza suoni, la precisione chirurgica di un ologramma metafisico. A pensarci bene un’inerzia angosciante senza indizi – pochi istanti poi due si gettano sul prato, dietro non c’è profondità, sembra un ricordo registrato in un video amatoriale. L’uomo e la donna stendono una stuoia sul prato, buttano un sacchetto e si trovano in ginocchio di fronte, adesso la sensazione è netta: sembra di essere dentro una favola o in un sogno fatto di vetro, ancora la percezione di un cattivo presagio che si mischia a un rimorso (ma non è ben chiaro): come se tutto potesse andare in frantumi da un momento all’altro, come se fosse tutto falso. E’ molto coinvolgente a ripensarci. L’uomo sta per stappare una bottiglia di vino prezioso, venuta dal medioevo, cedono i riferimenti spaziali e temporali.
Poi lo schermo si riempie completamente di rosso, la velocità di uno schianto, si sente il rumore del vento, il crepitio di un disastro, una grande mongolfiera si accartoccia sullo schermo, si gonfia e si sgonfia, striscia sul prato. Attaccato alla corda un uomo tenta di non farla alzare, di temerla giù, in un tentativo disperato, assurdo, a vederlo bellissimo. Poi l’uomo con la bottiglia parte di corsa, e altre quattro persone dai lati del landscape corrono al centro del prato verso la mongolfiera (prima non c’erano o erano nascosti in ginocchio dietro una sasso di cartapesta), sembra un gioco, ma con un affanno che il gioco non ha. C’è di bello che nessuno sembra averci pensato, tutto è avvolto da quel primo affanno istintivo, disperato, coraggioso.

Allora: c’è un prato incurvato su un foglio da disegno, dove una mongolfiera con dentro un bambino singhiozza sull’erba, e un vecchio la tiene per la coda per non farla perdere nel cielo.

I quattro arrivano dai lati e si aggrappano al cesto, la tengono giù, la mongolfiera fatica, arranca, si vedono gambe strisciare sul prato, una voce che dice di girare la valvola, il bambino ci prova, si sente un boato di fuoco, la mongolfiera si impenna, “non quella l’altra!”, si alza si abbassa. I quattro penzolano ai lati del cesto, il vecchio appeso alla fune galleggia a mezz’aria, le punte delle scarpe strisciano sul prato, per un momento è un’immagine dolcissima.
La mongolfiera si abbassa, il pallone si affloscia, il tonfo del cesto che rimbalza sul prato, sembra finita.
Poi un primo piano improvviso sugli alberi. Le foglie frusciano: è tutto vero, non c’è nessuno sfondo di carta. Gli sguardi dei quattro si stringono nello stesso presagio, ti viene da pensare al respiro del Bosco o di un dio dispettoso, poi lo senti, la mongolfiera si alza, va su. Finché uno non lascia gli altri non lasciano, poi uno lascia e gli altri lasciano. Uno due tre quattro tonfi come quattro mele che cadono. La mongolfiera se ne va sola, leggera, si perde nel cielo, gli uomini alzano lo sguardo e vedono che il vecchio è ancora là attaccato alla fune, vestito con quella strana giacca elegante di tweed inglese.

Una mongolfiera rossa inclinata su un cielo di cristallo, sta portando via un bambino, e un uomo con una giacca elegante ci è rimasto appeso perché voleva salvarlo.

I quattro alzati in piedi ancora ansimanti guardano in alto con i capelli mossi dal vento.

Non dovresti poi sapere che fine fanno i due, non ti dovrebbe interessare, tanto basta l’immagine della mongolfiera che se ne va’, dovrebbe bastare, i due non possono morire, l’idea della morte non dovrebbe essere ammessa, vorremmo essere in un cartone animato invece che all’inizio di un film.

Thursday, May 12, 2005

Sandali di gomma, camicia e pullover color carta da zucchero.
Camicia a righe blu o grigie su sfondo bianco, cavallino a destra.
Polo turchese con taschino senza penne.
Il signore con i saldali possiede un cattivo odore ed è seduto di fianco al calvo con il cavallino.
L’uomo con il pizzetto e la polo mastica una cicca mentre parla al telefono.
Il calvo ha scarpe con la suola di cuoio.
“Bene, adesso mi sembra che abbiamo messo le basi per procedere”.

Entrambi sono seduti su sedie rosse (plastica appoggiata a impalcatura di ferro). Dietro, su altre file, gente si legge il giornale, un cieco ha le gambe accavallate e una donna di colore mangia un panino.
Dilà dalla vetrata picchia un sole di mezzogiorno, un grande cartello pubblicitario con il viso di una vergine.
Il signore con i sandali e le ascelle sudate si mette in fila.
Non mi ricordo più in che film ma poi i due rapinano la banca in una pioggia di sangue.

Wednesday, May 11, 2005

Cari lettori,
è andata male - il mio reportage sulla vita milanese - l’ho capito subito quando il cameriere del Casablanca (che assomiglia al presentatore di SexyBar) ci ha fatto sedere. Era la sera sbagliata o – forse - solo un gioco linguistico. Ho provato a lasciare stare la “generazione milanese” e a concentrarmi sulla “compagnia del muretto”, ci ho ricavato piccoli segnali di vita che non meritavano i miei tacchi. Allora ho spento il telefonino, ho inscenato un rispettoso silenzio stampa; ma tutto continuava ad essere simbolico. Ho contato le arachidi nel piattino e ho appoggiato la pipa del subcomandantemarcos vicino al buffet. Ho chiuso le mie cattive intenzioni nella borsetta.

Tuesday, May 10, 2005

Cari lettori,
sto scrivendo più del necessario, è che mi viene molto veloce prima e dopo il lavoro, tengo un’immagine in testa e la metto giù. Ma non sono soddisfatta, allora mi sono fatta un giro nei blog, quelli fighi, e a parte i soliti giornalisti scapigliati (giovani dentro) che scimmiottano giornalisti in giacca di velluto (ho visto che qualcuno scimmiotta pure diaco- “no comment”), a parte loro che non mi interessano (la “notizia” la trovo molto volgare)- dicevo (salvo Lucasofri), tutti gli altri, quelli fighi, oltre ad essere apertamente più autobiografici (io sono altrettanto autobiografica – in una maniera più lenta e più falsa* questo è pur vero) e passi- loro quelli apertamente autobiografici parlano di film, di cinema, di concerti, di jazz ( insomma ci siamo capiti) e anche di locali, e di gente che c’è nei locali, dove si mangia e si beve, si parla e si ride, tutto questo mi interessa e ne voglio parlare anch’io, così stasera ho deciso di uscire solo per raccontarlo qui domani.

P.S. Ci sono anche quelli che parlano di vino, di cibi raffinati, tendenzialmente macrobiotici, ma che non disdegnano le trattorie fuoriporta magari di maniera, con i tavoli di legno e le tovaglie come devono essere le tovaglie (a scacchi rossi e bianchi), ecco anche questo mi piace.
Sabato a Sondrio spettacolo scritto e diretto dalla ballerina, sala donbosco ore 21:00.
Mi arriccio i capelli e metto le all-stars nere, sotto la doccia penso di essere Leonore. Poi arrivo in ritardo, lo spettacolo è già iniziato, lo guardo in piedi. Ogni tanto stacco sui profili degli spettatori. Un certo eisenstein picchietta le dita sul bracciolo ripassando sul legno le facce allucinate delle protagoniste: occhiaia di cerone e ciglia incurvate dal rimmel. Carmelobene se ne sta già uscendo con la cicca in bocca, mi sembra di vederlo aggrappato a una stangona del nord finire male, pure quella che sprofondata la testa nella poltrona pedala a gambe alzate senza averne più. Due fili stesi, un’ombra che taglia in due il palco: l’avanguardia di un novecento affollato di ideologia, il suo dittatore allucinato fa accademia sopra una folla di automi. Corpi disossati vanno di qua e di là senza coordinate: il più classico dei manuali sull’esistenzialismo scritto da asiargento con un filo di voce, sartre traffica con le luci, michelefalappi fa rotolare palle di acciaio sul palco. Effetto-terrore-meccanico.
Alla fine le ballerine si tolgono i costumi neri, spengono la musica, si infilano jeans, superga e t-shirt (un gesto che vale il prezzo del biglietto) e non prima di aver acceso il sole, se ne scendono tra noi con in spalla la sacca dei nostri cattivi pensieri. Questo è il momento più bello (dentro una luce completamente artificiale).

Monday, May 09, 2005

OFFRESI RAGAZZO –TELEFONARE AL 333-2174---
Ragazzo dal brutto sorriso che a momenti vorrebbe avere una faccia affilata, ma non c’è l’ha; con quella vorrebbe entrare in una luce caravaggesca e fare un sorriso, diabolico. Ragazzo che vorrebbe essere quello che non è, così messo a nudo tra una vita vera e una vita falsa.
Estrazione tuttosommato contadina – la nonna lava i panni al lavatoio – medioborghese acquisita: cattolico, calciofilo, forti principi morali fin da piccolo, principi posticci // villa principesca, stanza con affreschi, giardino dall’erba inglese, liberale in età adulta.
Atteggiamenti neutri verso la politica le donne i soldi e le disuguaglianze, le sofferenza del mondo - fino al liceo, atteggiamenti dubbi all’università. Nessuna donna fino ad allora, una Donna, una Moto, scarse letture, scapigliato e inaffidabile. Felicemente palestrato, tuttosommato stilnovista con Angelo in carne ed ossa al seguito.
Avversione per qualsiasi cosa sia imbacuccata dietro la superstizione dell’ “oggettività”: dalle scienze “esatte” a quelle “tristi”. Vomito per la psicologia e la sociologia, distacco per la fisica, diffidenza a prescindere verso la “professionalità”. Cominciò a leggere, a isolarsi, a perdere diottrie, di una bellezza sempre tormentata, il cuore spezzato, lì iniziò la sua Metamorfosi: soffocato dall’ironia - per essere up-date come guiasoncini, folle visionario come manganelli, magari come michelemari, geniale come davidfosterwallance, cominciò a trasformarsi in una “goccia di sangue”.
Mescolare in un plot qualsiasi, favorita e favorevole è la lettura a voce alta, la dizione teatrale- se lo si vuole provare. Acquistare solo se si è capaci di distinguere “scherzo da scherzo”, se si ha in abbondanza un sano ottimismo da vendere, una propensione alla praticità e alla razionalizzazione, questo potrebbe smussare e affievolire la drammaticità del primo incontro in una fusione gastronomica di gusti opposti. Si preferiscono mani femminili da umathurma in killbill, occhi da giovannamezzogiorno: la terra è diseducata va rivoltata e fecondata con grazia femminile, allora servono lettori forti con i calli sulle mani.

Friday, May 06, 2005

ISTRUZIONI PER FUGGIRE DA UN TEMPORALE E TROVARE UN UOMO
“Schiaccia ce l’abbiamo alle calcagna!”



Fare l’amore pensando a un altro
Cercare un ragazzo bravo in matematica
Tenere per almeno quarant’anni qualcosa nella testa e poi nasconderla nel cuore
Guardo il sole bianco e esco dall’ufficio, in prima fila. Tavoni mi fa un cenno senza alzare la testa. Ha occhiali spessi ma riesce a fare un occhiolino buono per tutte.
Il cemento fuori è pari a un paio di jeans slavati, il reparto sterile spunta due dita da terra – siamo alle solite, usciamo come sei guardie del corpo e sintonizziamo le trasmittenti auricolari, la luce ci stritola nel suo miraggio. E’ come starsene fuori dal mondo: la solita lingua che traballa sull’asfalto, l’aria che c’era sulla pista d’atterraggio in messico nel 1986- tanto per dire- così calda, secca nuova. Ci schiacciamo gli occhiali sul naso. Siamo inghiottite dal pulviscolo. Alla sala riunioni del 4, dietro il solito vortice di cristallo, ci aspetta il capo. Teniamo bassi gli angoli delle gonne dentro un nevischio lunare, il solletico poi l’ascensore d’acciaio.
Tavoni ha la lingua di un pastore e i canini di un pipistrello, massaggia il suo pene con la sinistra a grandi falcate circolari, spegne la luce intensifica i contrasti allenta la cravatta e guarda fuori dall’oblò, lo fa sempre quando andiamo in riunione. Se lo fa girare su grossi cerchi e si sente come su una ruota panoramica ai bordi della città.

Thursday, May 05, 2005

Mi metto dietro le mani e rollo una canna, con il collo di una iena, aspetto Christian che torni. Milano galleggia in una brocca di limonata senza zucchero, tutti si sono spogliati e viaggiano scalzi. Guardo ragazzi con la cresta, il cavallo basso e gli occhiali a goccia nuotare in apnea, parlano una lingua che non mi piace. La milanobene è dappertutto fa scintillare corsocomo di stellette come incisivi, i ragazzi borghesi sono spariti come le luccioledipasolini, (tutti) inghiottiti dai centri sociali, a girare scalzi su un pavimento umido si sentono come il padre di arturo sulla sua isola. Io cerco quel poco di salsedine in un miraggio artificiale e penso a una frase con la parola “rosario”, poi vedo ancora gente ben vestita, di una dignità collaudata: mocassini rossi, camicie bianche sottilissime con ampie scollature a V, si guardano intorno martoriandosi le perline sul collo, si fanno rigirare sigarette di mariujana grosse come fave tra le dita, le tengono tra il pollice e l’indice in equilibrio come le palline di un rosario.

Wednesday, May 04, 2005

//Istruzioni per una giornata di fine millennio//. Mi sveglio in un letto non mio. Ascolto i gargarismi arrivare dal bagno. Giro le lenzuola fino alle orecchie, poi quando sono sola mi incammino verso il bagno con il dentifricio e lo spazzolino in tasca. Mi metto le lenti e mi sistemo la frangia nello specchietto retrovisore, lascio i denti sul cruscotto. Non prenoto la cena. Fiorella pierobon alle otto di mattina mi ricorda che siamo nel bel mezzo del tramonto, comincio a lavorare sognando una sigaretta e le dieci e trenta, la mattina sembra ossificata dentro la luce del meriggio, allora chiedo aiuto a montale, aspetto il segno di qualcosa che non tiene, ma tutto è incollato, Ulisse non è mai partito. Mangio riso bianco scondito, fili di carote crude con il limone, un triangolo di ricotta e una mela, due bottigliette di acqua vera. Rimango imbrogliata nel pomeriggio, salvo due per tre, lascio passare il tempo che fa fatica anche a fare quello – esco senza timbrare, guardo i primi di maggio girati di schiena, e su una panchina comincio con il foglio tra le mani a contare i passanti, salvo due per tre. Entro da mcdonald , con il vassoio pieno mi regalano l’autostrada; cerco di non sbrodolare, il panino sbatte come un pesce senza fiato, la luce viola pareggia con l’asfalto, mi faccio spazio tra i cartoni e li imballi – il contenitore straccia il contenuto poi si butta, su questo si fanno largo cattivi pensieri. Alla rotonda vedo due puttane bellissime che annunciano un barbaglio, poi parcheggio mentre una ragazza mi chiede che cazzo voglio, e finalmente vedo, sotto i portici, un servo gallonato che trascina due sciacalli al guinzaglio.