Il landscape occupa tutto lo schermo in una curvatura d’azzurro e di verde, sembra la scenografia cartapesta di un teatro, un’immagine senza suoni, la precisione chirurgica di un ologramma metafisico. A pensarci bene un’inerzia angosciante senza indizi – pochi istanti poi due si gettano sul prato, dietro non c’è profondità, sembra un ricordo registrato in un video amatoriale. L’uomo e la donna stendono una stuoia sul prato, buttano un sacchetto e si trovano in ginocchio di fronte, adesso la sensazione è netta: sembra di essere dentro una favola o in un sogno fatto di vetro, ancora la percezione di un cattivo presagio che si mischia a un rimorso (ma non è ben chiaro): come se tutto potesse andare in frantumi da un momento all’altro, come se fosse tutto falso. E’ molto coinvolgente a ripensarci. L’uomo sta per stappare una bottiglia di vino prezioso, venuta dal medioevo, cedono i riferimenti spaziali e temporali.
Poi lo schermo si riempie completamente di rosso, la velocità di uno schianto, si sente il rumore del vento, il crepitio di un disastro, una grande mongolfiera si accartoccia sullo schermo, si gonfia e si sgonfia, striscia sul prato. Attaccato alla corda un uomo tenta di non farla alzare, di temerla giù, in un tentativo disperato, assurdo, a vederlo bellissimo. Poi l’uomo con la bottiglia parte di corsa, e altre quattro persone dai lati del landscape corrono al centro del prato verso la mongolfiera (prima non c’erano o erano nascosti in ginocchio dietro una sasso di cartapesta), sembra un gioco, ma con un affanno che il gioco non ha. C’è di bello che nessuno sembra averci pensato, tutto è avvolto da quel primo affanno istintivo, disperato, coraggioso.
Allora: c’è un prato incurvato su un foglio da disegno, dove una mongolfiera con dentro un bambino singhiozza sull’erba, e un vecchio la tiene per la coda per non farla perdere nel cielo.
I quattro arrivano dai lati e si aggrappano al cesto, la tengono giù, la mongolfiera fatica, arranca, si vedono gambe strisciare sul prato, una voce che dice di girare la valvola, il bambino ci prova, si sente un boato di fuoco, la mongolfiera si impenna, “non quella l’altra!”, si alza si abbassa. I quattro penzolano ai lati del cesto, il vecchio appeso alla fune galleggia a mezz’aria, le punte delle scarpe strisciano sul prato, per un momento è un’immagine dolcissima.
La mongolfiera si abbassa, il pallone si affloscia, il tonfo del cesto che rimbalza sul prato, sembra finita.
Poi un primo piano improvviso sugli alberi. Le foglie frusciano: è tutto vero, non c’è nessuno sfondo di carta. Gli sguardi dei quattro si stringono nello stesso presagio, ti viene da pensare al respiro del Bosco o di un dio dispettoso, poi lo senti, la mongolfiera si alza, va su. Finché uno non lascia gli altri non lasciano, poi uno lascia e gli altri lasciano. Uno due tre quattro tonfi come quattro mele che cadono. La mongolfiera se ne va sola, leggera, si perde nel cielo, gli uomini alzano lo sguardo e vedono che il vecchio è ancora là attaccato alla fune, vestito con quella strana giacca elegante di tweed inglese.
Una mongolfiera rossa inclinata su un cielo di cristallo, sta portando via un bambino, e un uomo con una giacca elegante ci è rimasto appeso perché voleva salvarlo.
I quattro alzati in piedi ancora ansimanti guardano in alto con i capelli mossi dal vento.
Non dovresti poi sapere che fine fanno i due, non ti dovrebbe interessare, tanto basta l’immagine della mongolfiera che se ne va’, dovrebbe bastare, i due non possono morire, l’idea della morte non dovrebbe essere ammessa, vorremmo essere in un cartone animato invece che all’inizio di un film.