Wednesday, April 26, 2006

Overlook Hotel
Se mai vi capiterà di entrare in analisi*, capirete che, ancora prima di indentificare il problema (o come presto comincirete a chimarlo il Rimosso), dovrete trovare l’analista: l’analista a differenza del problema lo dovete scegliere voi** ( a differenza ,anche del dottore che, invece, lo sceglie la malattia) – così vi capiterà di entrare in ambienti che incrociano compostezza, professionalità e il generico richiamo al “calore” (angoli minimalisti+mogano+tinture pastello), vi sentirete presi tra il salotto intellettuale e l’ufficio ministeriale, molto probabilmante uomini o donne vi osserveranno in una maniera - a seconda dei casi - partecipe o distante, uomini e donne che tengono ferme davanti a voi le loro mani curate. Pur sentendovi dal dottore non vi verrà mai chiesto ( per quanti tentativi voi facciate prima di trovare quello “giusto”) perchè siete li o peggio quale sia il vostro problema (la parola problema, a dire il vero, non la sentirete mai) – la cosa sorprendente è che invece vi chiederanno (più o meno direttamente a seconda della scuola a cui appartengono) di parlare di voi, cioè in termini più letterari di parlare delle vostra storia, quello che vi stanno chiedendo è di mostrare il vostro blog – scriverlo adesso – prendere in mano la vostra anima e farvi tirare su. State entrando nella parte: quell’uomo dalle mani curate vi sta affrendo la sua guida in questo viaggio e voi nel gioco delle parti siete lì per accettarla, come sucesse allora nella Commedia, prima grande seduta psicanalitica della storia, succede adesso - a questo punto anche se solo l’avete pensata una cosa del genere ( come ho fatto io) siete veramente nel posto giusto, è inevitabile, ma si ha anche la speranza che sia tutto calcolato – il viaggio è iniziato. Ci sarà un grosso lavoro di disposizione, discernimento, svelamento, si comincerà o si continuerà a rossichiare nel tentativo di far tremare la superficie, il velo piatto su cui sono proiettati i ricordi, tastare un “altrove” , trovare la luce riflessa e seguirne la sorgente dall’altra parte sul muro, verso qualla scatola nera che magari l’uomo dalle mani curate avrà chiamato in-conscio, questo nella manifestazione verbale, nella luce che entra/ non entra della stanza, ma dentro di voi non c’è nessun inconscio, e “l’atto mancato” di cui tanto parla l’uomo che muove le mani, l’atto mancato è si e no una sensazione, tutto sta nel s-travestirla e vederla come il Male, vederla come il Male significa accettarla- farla esplodere, capire che non ci si può ne nascondere, ne guarire***.

*Come è sucesso a me di entrare in analisi quindici anni fa su “suggerimento” di mio padre (l’analisi oggi mi continua a tenenere “legata” a lui – è papà che la paga) – la cosa ha il suo lato divertente se si considera il trattamento analitico (come vuole la scuola di Freud) una post-educazione dell’adulto, ovvero una rettifica dell’educazione che ha ricevuto da bambino – in un certo seno l’analisi viene in soccorso a tutti i genitori che dopo aver ammesso il loro fallimento come genitori ne vogliono pagare il “prezzo”.

** Il mio pesonale iter verso l’analista, è stato tormentato e faticoso, ma ha sviluppato in me un nuovo istinto che mi ha poi aiutata a riconoscere ambienti/persone favorevoli, scartando a priori (primo incontro) situazioni “dubbie”, istinto che tutt’ora funziona in diversi ambiti – ad esempio si è rilevato utile due volte – in tempi differenti - fornendomi “sensazioni” su due ragazzi con cui uscivo: dopo aver visto per la prima volta la loro famiglia, o ever sentito l’odore della loro casa, non mi è stato necessario baciarli o andarci a letto per capire che dovevo terli alla larga.

***Nondimeno credo che molte persone che frequento avrebbero bisogno di entrare in analisi, risolverebbero tanti problemi verso se stessi e verso gli altri, in genereale credo che vincere certi pregiudizzi verso l’analisi renderebbe il mondo migliore.

Friday, April 21, 2006

Anch’io oggi come voi giro in motorino per la città in mezzo alla primavera, c’è il cielo azzurro e qualche nuvola, poi c’è il sole – le storie scivolano l’una nell’altra come plastica che brucia. Fanno lunghe file ai supermarket sotto questo cielo che adesso è viola come quindici anni fa. Io ne ho una dietro che mi stringe i fianchi, ha scarpe di pelle nera e una felpa con il colletto ricamata – ci vorrebbe un saggio critico per smontarla e farla uscire dagli anni ottanta – lei mi rimane dietro e mi stringe i fianchi come se fossimo in due a passare attraverso la città in questa mia ex-primavera. Sento sbattere la cartella della najoleari, sembra bagnata, spero di non avere le calze a rombi e nemmeno i collant sotto le scarpe da barca, vedo le stringhe di cuoio che non c’è mai bisogno di allacciare. Porto dietro l’altra me stessa di tanti anni fa attraverso San Babila, quando ancora abitavo nel grande appartamento borghese. Andavo a una festa, e oggi sto tornando a casa. Penso se ho qualcosa da dirle – in quest’aria che addolcisce i manifesti elettorali e le marmitte catalitiche, poi mi perdo a guardare i tavolini di ferro dei bar e le bottiglie di gazzosa vuote – me la ricordo così questa strada. La carica scura dei mie quindici anni, il cielo viola, il colore intenso che intasava l’aria prima dell’incontro che mi avrebbe cambiato la vita, un’esplosione, poi due lapidi a fornire opposte versioni dello stesso disastro.

Thursday, April 20, 2006

Domenica mi arriva una telefonata di Andrea – Andrea non lo sentivo da prima delle elezioni, ne lui ne nessuno del giornale mi aveva più chiamato – fatto sta che mi chiama, mi dice che è in macchina, ma non si sente affatto bene, ha la voce affannata, non capisco se è impegnato in manovre nel traffico oppure è su un rettilineo e sta proprio piangendo, mi dice che è morto il papa, ma non capisco bene, la sua voce è spezzata, sembra stia per venire soprafatto da un alveare, (penso a quel rumore come a una minaccia), praticamente non c’è dialogo, lui continua a parlare nel tentativo di essere più veloce del sibilo metallico – brusio, vuoto, Andrea che parla, brusio, Andrea che parla: “è pronto il papa, l’abbiamo seppellito” – poi improvvisamente si blocca tutto: la macchina, la voce e il rumore. Penso di riattaccare e richiamarlo dopo, ma Andrea riprende no so da dove, e mi dice delle cose bellissime, completamente senza contesto – probabilmente credeva avessi sentito fino a lì- parlano della sua adolescenza di qualcosa che se ne è andato ed è stato lui a seppellire, parlano di se stesso ma in terza persona, qualcosa di fantastico che ha a che vedere con la morte e lo fanno sentire felice: e una parte di me dice – non capisco ancora – il tono della sua voce è molto toccante e pur non avendo capito bene, passo tutta la giornata a pensare a lui che mi ripete quelle cose al telefono percorrendo un rettilineo.

Wednesday, April 19, 2006

La cosa strana e che io alle selezioni Silvia non l’avevo vista, e non era un “coccodrillo” con quella faccia da quindicenne e la forcina tra i capelli. Me la ritrovai già in stanza con la valigia, come sapete. Sembrava messa lì per me. Devo essere sincera, ai primi tempi, circa un mese dall’inizio, sospettai, o almeno mi piacque fantasticare sul fatto che potesse essere non vera, che fosse una fantasia: ne più ne meno che uno spettro-confidenziale. Giravamo per le stanze del collegio, per la città, per le aule e nessuno sembrava vederla, non che io fossi più prepotente, ma almeno ricevevo qualche saluto dai vecchi compagni di Milano. Lei, fosse vera o no, sembrava invisibile. Una volta mi disse che si sentiva come quelle signorine in taillor che portano il caffè e mettono il cioccolatino sul piattino alle riunioni delle grandi multinazionali, non mi disse esplicitamente quello che io già pensavo, ma credo che a suo modo volesse dirmi proprio quello. Se non era un mio problema percettivo era certo una sua condizione esistenziale, il mio problema aveva comunque trovato un fondamento – quel giorno con il gelato in mano pensai che Silvia volle strizzarmi l’occhio dal suo aldilà e non riuscii a non pensare che la gente che mi guardava ne sapesse molto di più sul mio conto- cose che nemmeno io conoscevo, e che tutte quelle persone, che adesso stavano facendo i finti affari loro, presto avrebbero iniziato a giocare con me – perché in fondo mi disse, mordendo la parte solida che tampona il fondo del cono, era quella in assoluto la parte che preferiva.

Tuesday, April 18, 2006

Cose fatte e cose da fare:
visto un film in cui si rapina una banca con successo, dove non c’è un vero è proprio protagonista ma ce ne sono almeno due, in questo film si tiene per il cattivo senza sentirsi amorali, si parte con un breve monologo in primo piano, si finisce sulla stessa scena: faccia a tutto-schermo che ti guarda negli occhi. Viene pronunciata per due volte, in una maniera misteriosa e sensuale, la parola “intoppo”, anche quando si ripete nel finale – dove il plot è sciolto – la parola mantiene la sua sensualità, a quel punto anche tu spettatore ripeti “intoppo” – e se ci pensi bene trovi che la parola abbia una valenza teatrale. (Sembra avere la forza evocativa di una coro fuori campo e contemporaneamente la si sente di completa proprietà di colui che ha agito per tutto il film – la stima per quell’uomo - che è anche il cattivo – allora si impenna in maniera vertiginosa acquistando qualcosa di magico e di diabolico insieme). Si riconoscono nella protagonista femminile dei bellissimi polpacci: grossi e plastici, si vedono i tendini incresparsi dietro la pelle abbronzata quando si muove sui tacchi, la protagonista mostra un’abbronzatura color legno chiaro – abbronzatura che ripassa le rughe del viso in un effetto di salubre tonicità, spiace che non siano rimasti i segni degli occhiali: conferirebbero a quel colore un che di meritato facendola risultare un’abbronzatura non completamente edonistica. La donna dai capelli lisci (chiari non tanto da apparire ossigenati ma abbastanza da richiamare quel velo di abbronzatura che ne segna il viso) quando entra nella banca viene fatta sdraiare a pancia in giù, mostra ancora una volta i suoi splendidi polpacci, ma questa volta schiacciati dall’inquadratura non sembrano niente affatto sensuali: all’antipatia intellettuale che la donna continua a suscitare si unisce per qualche secondo – finché non si rialza- anche un certo fastidio estetico. La donna risulta una donna ambiziosa, fredda, rigida, opportunista, moto intelligente, una donna di successo fuori dal comune – non fatichiamo a riconoscere anche in lei qualcosa di diabolico. Se vai con un partner di sesso maschile al cinema, facilmente – come è successo a me - ti puoi sentire dire che “è una donna che ha bisogno di essere sonoramente scopata” – ovviamente il punto di vista “maschile” non è quasi mai il miglior punto di vista per formulare un giudizio su un film.

Wednesday, April 12, 2006

Mi sono accorta per la prima volta con Silvia come era diverso fare l’amore. Coi ragazzi non era mai stato così: c’era sempre stata come un’urgenza fisica che rendeva tutto impegnativo, anche senza fiato, quando era bellissimo. Silvia mi bastava sentirla, soprattutto nei momenti di calma, in discesa: i sospiri per riprendere il fiato, quello mi piaceva più di tutto. I ragazzi gemevano con quel ridicolo ritmo a colpetti senza melodia ( non so se capite quello che voglio dire) spingevano tra sforzo e tensione, a volte ringhiavano ma non gli veniva mai di sciogliere e modulare, di riprendere il respiro. Avevano un unico battito indistinto – tribale e primitivo (maschile) - che si impennava nella scemenza sonora e puerile del loro orgasmo. Quei rumori diventarono presto per me il fondo indistinto e insignificante su cui si consumava il Contatto e l’Invasione, non mi piaceva guardarli in faccia e sentirli impegnati altrove dentro di me, prima dell’Invasione gli stringevo il viso tra le mani e li sentivo lì, poi però avevo come l’impressione che se ne andassero dentro di me lasciandomi. Con Silvia non mi sono mai sentita sola – tutto era molto meno intenso, necessario, il sesso con lei era una variazione libera sul tema che non poteva ne colpirmi ne ferirmi – mi lasciava quella vertigine insieme a quel bruciore in mezzo alle cosce, l’illusione e l’orgoglio di essere io a spingere fuori i suoi meravigliosi lamenti che si mischiavano nella stanza con i miei – una voce che non veniva dall’altra metà del cielo ma da un cielo uguale al mio su cui mi sarei voluta fermare almeno per un pò.

Tuesday, April 11, 2006

Commento sull’attualità- doveroso, come mi hanno ricordato alcune lettrici: allora: Berlusconi ha perso, la sinistra non ha vinto, già adesso si sta parlando di deberlusconizzaizone del paese ( sarà!). Io trovo l’Italia sempre la stessa, mediocre e ridicola, capace di grandi colpi d’illusione e di lunghi tentennamenti sul filo ( la vittoria di Berlusconi cinque anni fa è stata - a suo modo - un grande colpo mancato – adesso mi sa che ci stiamo preparando ai tentennamenti) Con altre regole ( voto italiani all’estero e premio di maggioranza, CdL avrebbe potuto vincere, questo è un fatto– che Forza Italia sia di gran lunga il più forte partito italiano, che al Senato la percentuale di voti premia la Cdl e che alla Camera la differenza è ridicola vorrà pur dire qualcosa). Certo, l’Italia oggi non vuole Berlusconi ma non sembra volere nemmeno Prodi, i governi vanno e vengono ma l’Italia rimane sempre la stessa nazione smidollata – questo è più che un fatto. Vorrei che la sinistra invece di festeggiare pensasse a questa triste risicata vittoria (quasi un pari in termini di voti) su una destra che ha governato per cinque anni non facendo crescere di una virgola il paese, fallendo le riforme che aveva promesso, riuscendo a portare a casa in gran tripudio di trombe quei quattro decreti che hanno finito per salvare il culo al cavaliere – peggio di così il governo non poteva fare eppure Prodi&Company hanno rischiato grosso: questo dovrebbe quando meno creare dei complessi di autostima a chi ci crede …..Così per la cronaca io ho votato Ds al Senato e Ulivo alla Camera - speravo in un colpo secco che desse almeno qualche prospettiva di governabilità futura (liberandoci dalle anomalie di B –più che da B stesso dal suo staff di sbarbati e impomatati consulenti/avvocati/faccendieri), mah si vedrà….più intimamente - sempre per la cronaca - faccio fatica a dirmi di destra o di sinistra, in una scala da uno a dieci mi sento 6 verso la sinistra come mi sento da sei verso l’eterosessualità.
Scoprii anch’io insieme a Silvia, mio malgrado, che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Senza bisogno di finire tardi la notte. Silvia leggeva davanti allo specchio le poesie con la voce dei cartoni animati. La scoprii una volta da sola poi mi invitò a farlo con lei quando fummo più intime. Era il gioco delle "marionette ridicole". Non mi piaceva quel gioco (lo trovavo infantile e noioso).
Dovemmo provare molte cose davanti allo specchio: Shakespare masticando la gomma con la voce di paperino. Leggeva Flatland imitando la voce di Martellini come nelle telecamere di una partita, scandiva ogni parola come se ogni parola fosse un giocatore del gioco, un effetto nauseabondo che io guardavo dentro lo specchio farsi e disfarsi modulato da una voce e da una smorfia – all’infinito anche per più di mezzora -finche non me ne andavo. Potevo continuare a sentirla per delle ore, di materiale ne aveva sempre fresco – senza velleità – la sera capitava di finire con Chervantes letto dall’originale spagnolo e tradotto direttamente nel dialetto delle sue parti con la voce di sua mamma, che però io non riuscivo a distinguere dalla sua – oppure faceva la versione porno della divina commedia ( naturalmente il V dell’Inf.) in cui le vibrazioni ritmiche delle terzine erano scandite in piccoli colpi che nell’intenzione di Silvia sarebbero dovuti essere "orgasmi falsi e nervosi di vecchie ormai frigide" (o qualcosa del genere - era tutto un gioco di didascalie e tentavi di contestualizzare l’improvvisazione). Di quello che si leggeva non ci si capiva niente e Silvia era la prima a non capirci niente.
Non ho mai pensato che Silvia fosse normale, e devo dire che allora non me ne importava un granchè.

Monday, April 10, 2006

Silvia aveva vent’anni la prima volta che l’ho vista, me la ricordo messa sull’attenti a guardarsi le scarpe, vestita di bianco e di nero, con la valigia perpendicolare sotto la mano. Quando la incontrai nella stanza mi salutò come per un dovere imparato e fastidioso, non so da quanto era lì in quella posizione di attesa con la valigia parallela alle scarpe nere e la femminilità di un soldatino, ho immaginato da un’eternità – io che non volevo andarmene e avevo ancora le lacrime agli occhi – lei mi sembrava indifesa e vuota come il disegno su un muro, aveva sul viso i colori della periferia: il grigio, l’ocra e il colore del metallo. Nella stanza c’era odore di legno appena incerato – tutto era un’impressione perché era un mondo sgualcito quello che evocava silvia – solo un’eventualità o un’ombra dentro cui sembrava perdersi la forma, rimanevano le tracce - che imparai a cercare negli anni della nostra convivenza – ma quel primo giorno mi sentii sbalzata su marte e rimpiansi, come non avrei mai creduto, tutti i miei compagni del Berchet.

Thursday, April 06, 2006

C’era un maggio odoroso che avevamo preso per buono, silvia fu prima di tutto pelle bagnata, poi il cielo carbone e le mani sudate. Riusciva ad essere grassa e bella: me la ricordo sdraiata sulla pancia con un libro in mano nella nostra stanza da due. Mi parlava dei colori che rendevano una costruzione di carta il collegio, ed era così stupida: gli occhi da pesce e le labbra d’asfalto marrone – leggeva Ramboni e mi diceva che tutto doveva essere così e io le dicevo tutto, perché tutti gli altri li sentivo lontani, cominciammo a stringerci sempre di più, per difenderci - insieme, nelle confidenze, nei corridoi, nei compiti e nei refettori, avevamo imparato a distillare tutta la sofferenza di cui eravamo capaci per soffocare dentro le tinte artefatte della nostra coscienza – l’echimosi e i lividi dei suoi passati amori, io amori non ne avevo allora, scarabocchi di false emozioni create allora per sentirmi come dentro la stanza . Non so che fine ha fatto silvia – ci siamo odiate di un odio feroce con ragioni che adesso hanno perso importanza, futilità morbosa di cui era fatto il nostro amore – chissà se si è sposata e in che angolo della sua stanza ha cacciato i nostri pomeriggi di baci.

Tuesday, April 04, 2006

Oggi, eravamo dilà alla macchinetta del caffè, quando Bea interrogata da Claudio ha detto: “IO VOTO FAUSTO” – l’ha detto convinta, noi ci siamo guardati, poi un altro collega ha cominciato a tirarla in giro. Si è subito pentita di averlo detto – l’ho capito subito, chiedeva di smetterla. Per un po’ è stato divertente, più per lo charme di Bea che per il resto. Poi verso le undici qualcuno ha attaccato alla porta della zona caffè un foglio battuto in Word: “IO VOTO FAUSTO” (prima riga in nero carattere 50) e “HASTA LA VICTORIA SIEMPRE” (seconda riga – in rosso). Il capo l’ha visto è l’ha fatto togliere, io non l’ho visto il capo mentre lo faceva togliere, ma conoscendolo posso immaginare, continuo invece a vedere la faccia di Bea davanti a me, la dovrebbero vedere tutti quelli che non credono in questa campagna elettorale.

Monday, April 03, 2006

E’ da quando sono nata, ma più insistentemente da quando i fenormoni hanno preso a “farsi”, che sto pensando all’Uomo Ideale (è una pura attività teorica, molto zitellesca, lo so, può essere l’indizio dell’”ultima spiaggia”, so anche questo, rimane comunque un modo di regolare la “vita pratica” a suo modo valido), quale mi sposerei? quale si confà alle mie ambizioni? ai mie progetti di serenità matrimoniale, a una certa predisposizione domestica e mondana? quale uomo ringalluzzirebbe di giorno in giorno la mia salute intellettuale insieme a tutto un modo di vedere e vivere la vita? Per me tutto questo ha a che fare con il “sentirsi protetti”, non dico col “non sentirsi mai soli”, che è impossibile, ma col “sentirsi un po’ meno soli” per via di cazzate - anche, a volte di sguardi e modi di muoversi. Dalle mie precedenti esperienze con gli uomini ho l’impressione che ci voglia una gran dose di cazzate per tirare avanti, nel mio caso devono essere farcite da una certa verve intellettuale. Non voglio, certo, l’uomo che mi faccia ridere, neppure quello che mi faccia divertire. Parto così, escludo e includo, guardandomi in giro, Desiderando secondo la lezione del dott. Lecter. Mi butterei subito su un tipo tipo Luca Argentero ( quello del GF), scuro, sorriso megagalattico, occhi grandi – ho del resto imparato a diffidare dei ragazzi che portano o hanno portato lo snake: per questa e per altre ragioni l’ho subito accantonato – metteteci anche una certa penuria di informazioni sulla sua vita interiore, scelta istintiva – sensazione tutta femminile di “niente arrosto” – con lui care lettrici, lo avete capito se ne va una Categoria - quindi sono passata a tipi più intellettuali tipo Gianni Riotta, o il presentatore di Ballarò, quest’ultimo viene subito scartato perché francamente pare la versione telegenica di Milaus – Riotta, non è male, fisicamente ha un certo fascino (meglio con la frangia anche se richiamava Severgnini, con più tormento però. Andrebbe riportato ai primi anni, ai tempi della Stampa quando indossava quelle improbabili giacche da “giornalista” con gli occhiali spessi da freak) – ma mi sa di perfettino, non vedo nessuna forma di indolenza, è troppo impostato, perde mordente, poi francamente ha scritto dei libri di fiction illeggibili – della Categoria hanno fascino (“un certo modo di vedere le cose” – che con i giornalisti è più facile riconoscere) Michele Serra, Gianni Mura, e Massimo Gramellini, il primo c’è la su troppo con il Denaro, cova (ultimamente dissimulandolo bene) quell’odio dei vecchi comunisti nei confronti della ricchezza e soprattutto del lusso – a malincuore lo escludo, poi Mura per tutto il resto andrebbe bene, solo che ho bisogno di una certa maneggevolezza, se non proprio dell’argentovivo, almeno di una certa briosità fisica. Gramellini mi sembra non sappia fare altro che scrivere pezzi folgoranti di trenta battute ciascuna, e per un matrimonio e un po’ pochino – gli scrittori non mi piccono, i calciatori non mi piacciono, mi piacciono i medici, gli intellettuali e i cabarettisti, mi piacciono quelli che parlano alla radio e sanno modulare il tono della voce: siamo sempre lì ci vorrebbe un misto tra Veronesi, Eco e Fabio Volo, con dentro un po’ di quello cinico di Camera Cafè (che non mi ricordo più come si chiama), ma la cosa non è possibile – pur trattandosi di roba Ideale deve avere un Suo volto. Così alla fine ho scelto – e adesso ne sono sicura – il mio Uomo Ideale è: Luca Sofri. Mi sono pure scritta il perché e ve lo dico il prossimo post, senò questo diventa troppo lungo.