Thursday, January 17, 2008

Berlin_2
Io e Peter ci siamo sverginati in una campo appena dopo Alexanderplatz, sotto l’ombra di una rete metallica, contro una fila di nuvole dentro la notte in cui venne giù il muro. Era l’ora più bella dell’89 e l’aria palpitava ancora, con noi dentro l’abitacolo a pompare come animali, angeli troppo giovani. Il corpo di Peter andava e veniva, scivolava sui sedili di pelle come la melma del mostro. Ero una ragazzina e Peter il dio più cattivo, bruciava il suo corpo dentro il mio, nel freddo, alla luce dei fari accesi. Avevo l’impressione di essere nata una seconda volta, lì appiccicata alla pelle del sedile, coperta dal sudore di Peter. Quella notte tutta la nazione decise di scopare perché nessuna fatica e nessun dolore avrebbe fatto più paura del dolore che era finito. E’ naturale scopare quando si è felici e si crede che nulla sarà peggio di ciò che è stato. Scopare significa voler vivere per sempre, ora lo so. Per questo è stato così bello. Ci siamo uniti al coro, e abbiamo pregato una preghiera sui sedili, tra le carte di caramelle e la birra in lattina. Io non ho mai saputo come si chiamasse di cognome Peter e quanti anni avesse. Peter era nudo e io mi sentivo ancora gocciolare quando uscimmo dalla macchina. Camminavamo a piedi nudi come trascinati verso l’astronave degli alieni. Avanzammo finchè non si sentì più la radio, mano nella mano. Guardavo le costole sporgenti di Peter e il culo chiaroscurato dalla luna. Poi lui si girò e mi guardò a sua volta - come si guardano gli animali, con quella dolcezza. Eravamo lontani adesso, la luce dei fari puntava sui rovi dilà dalla rete metallica, distinguevo appena la portiera aperta della macchina, Peter disse che tutto era così perfetto. Poi mi lasciò andare e aprii le braccia verso la luna, si stagliò nella luce bianca, come la fotografia truccata dell’Uomo di Leonardo: i capelli troppo lunghi dentro il parcheggio vuoto. Stava sulle punte con le natiche color limone e la schiena arcuata. Attraversammo la recinzione e ci mettemmo a salire le scale dell’antenna, zitti e innamorati con le piastrelle fredde sotto i nostri piedi. Arrivati in cima Peter si girò e mi chiese se era per sempre, poi si gettò a braccia aperte cercando di portarmi via così, planava con le sue ali di angelo, e sparì. Il vuoto se lo inghiotti lasciandomi sola, appena in tempo per guardarlo negli occhi l'ultima volta. Oggi mi chiedo spesso dove sarei se fossi andata con lui, e, più passano gli anni, più invidio Thelma che ha seguito Louise, e mi dico che sono stata una stupida a non farlo anch’io. Peter era entrato nella a mia vita come Thelma in quella di Louise, per portarmi dilà dal muro. Lo lascai andare via solo, l’eroe dei mie tredici anni, troppo acerbo per essere cattivo.

Sunday, January 06, 2008

Berlin _1
Karolin e Peter sono abbracciati in mezzo alla folla. Tutta Berlino è in strada. C’è talmente tanta gente che non si riesce a camminare. Karolin sente la pressione sulla schiena e si lascia andare tra le braccia di Peter, lui la tiene stretta e la guarda continuamente. Peter si soffia via i capelli neri dagli occhi. La gente spinge, c’è un rumore assordante e qualcosa nell’aria che droga. Peter non lascia Karolin, gli arriva al collo, lo bacia. Nuota tra la corrente, respira chiude gli occhi. Sono quasi arrivati al muro e vorrebbero andare di là. C’è il sole; ed è strano potere andare di là, me nessuno ci pensa veramente. Microdosi di cocaina si mischiano all’ossigeno così per caso, è solo una sensazione, il bello è che nessuno ci pensa – si vede il giardino zoologico: sembra la testa di una tigre. Tutti vogliono vedere. Nessuno sa cosa. Non c’è niente da vedere. Karolin ha come la sensazione che domani non andrà a scuola, che non andrà a scuola mai più; non si stacca da Peter. Le uniche due persone così tenacemente abbracciate nella folla sono loro. Tutti gli altri si abbracciano e poi si lasciano, spingono, gridano. Peter riesce a vedere uomini in piedi sul muro, qualcuno si ferma lassù, apre le braccia e diventa riconoscibile , altri spariscono subito, Karolin vede le loro schiene ingobbite cadere di là. Milligrammi di cocaina filtrano nell’aria come fiocchi di neve, un pulviscolo impercettibile. Il cielo è una matrice, miliardi di pixel si accendono sulla linea che disegna un incudine dentro la città. La linea si gonfia e traballa come un focolaio canceroso. Peter non riesce a tenere via i capelli. Ha gli occhi di un colore incredibile, a Karolin fanno venire in mente la fantascienza, i suoi capelli sono lucidi e scendono a punte aguzze sul naso, gli curvano sul viso senza sfumature come nei disegni animati giapponesi. Karolin ci è rimasta secca. La linea grigia sembra pulsare e prendere vita per scollarsi di dosso milioni di insetti. Karolin non saprebbe dire quando si è innamorata di Peter, sente il traballio sensuale della folla e il pulsare misterioso del cuore di Peter. La malattia graffia il muro. C’è odore di morte, l’odore dell’energia quando cova in milioni di corpi e diventa qualcosa di barbaro. Il clamore è così assordante da renderti cieco. Non si riesce a capire, nessuno riesce a capire cosa piace a Peter guardandogli il viso, potrebbe essere un modello, un attore, un eroe delle fiabe, potrebbe non piacergli niente, Karolin ha già paura. Sono usciti per andare al parco a fumare, si sono fidanzati il giorno in cui nella stanza di Peter ascoltavano musica rock e fumavano le sigarette delle mamma di Peter. Oggi la gente ha portato la radio, tanti hanno con se le valige. A Peter sembra di vedere una donna in mezzo alla folla. Ha i capelli rossi e lo fissa con gli occhi di un coyote. Karolin tiene una musica russa in testa fatta di archi violini e campane, va con il cuore di Peter, la donna mira Peter e gli spara con le dita. Un uomo sorride per qualche secondo, il tempo che la forza della corrente glielo permette, poi caccia un urlo, prova a inchinarsi, si vedono i riccioli muoversi come al rallentatore, sembrano stelle filanti sullo smoking. Berlino è stesa per terra, la folla se la trascina sotto le scarpe, le valige si rompono ed escono le arance, i corion, le fotografie in bianco e nero, scatole di medicinali, pigiami, sciarpe e berrette. Non si riesce a mettere in fila due pensieri. Quando Karolin e Peter arrivano sotto il muro Karolin ha le dita completamente dentro i capelli di Peter. L’ombra di una nuvola stampa due fauci sul muso del giardino zoologico. Karolin dice a Peter che non è mai stata così felice, non si capisce ma potrebbe essere un urlo, le sudano le mani, le stanno per prendere fuoco. Peter è blu e porta una giacca di pelle, Karolin non si è ancora abituata al colpo improvviso che sente quando lui le sorride. Sono sotto. La mano di Peter finisce sul muro mentre la corrente tira, lei sta attaccata a Peter e sta attaccata al muro. C’è come uno spazio franco tra il muro e la folla, ci entrano, e si spingono in alto sulle punte dei piedi, il cigolio delle scarpe di gomma di Karolin, adesso, sotto il muro - nel fragore, è impercettibile.