Tuesday, November 04, 2008

C’è una negra che si strizza una tetta e sorride. Le sedie non si sa neanche da che parte arrivano, danno l’idea vecchia di qualcosa – le sedie vuote che formano una matrice sul linoleum della palestra.
Domani tutto questo sarà finito. Le foto in bianco e nero sulle pareti, uno striscione “Amatevi come io ho amato voi”. Il prete morto di stenti e di raffreddore, prima che infuriasse il ’68.
Si poterebbe trovare un minimo comune denominatore: si festeggia la vita di un prete morto senza nessun prete vivo, Lorenzo che ci guarda, e la negra che ammicca verso la macchina fotografica.
Si schiaccia la tetta e le sue amiche ridono, Erika è piegata. Le tette della negra sono piccole e lei è grossa dentro un maglione peruviano almeno di una misura in meno. Quest’anno le cose sono un po’ diverse e hanno messo la musica. Qui se ne fregano di Breston Ellis, del cinismo e delle camicie inamidate cambiate una volta al giorno, qui si parla un’altra lingua, tutto è così naturale. Come se Pasolini non fosse morto mai, e avesse ragione lui.
Fate caso a come si muovono, a quello che dicono e come sono vestite le persone che sono qui stasera.

So già che quando salirà sul palco e metterà la bocca vicino al microfono, scenderà il silenzio. E’ da quando sono piccola che la vedo parlare al microfono, presa a aizzare i sentimenti della gente che la ascolta. Quando lei era giovane e sfilava per le strade io non ero ancora nata, ho saputo tutto dopo, da quello che mi hanno detto gli altri – a me personalmente non ha mai detto niente, ma le sue foto in bianco e nero mi hanno accompagnata a letto tutte le notti. Per questo forse tutti si comportano come se avessi fatto le cose che ha fatto lei e come se avessi anch’io la sua età. Le foto ormai non le guardo più, me ne sono andata da lì - ho smesso di vederle da tempo ormai, ma mi continuo a chiedere chi le ha scattate – uomini sconosciuti, lei dice - baubau che venivano presi a calci nei cortei – e così che poi ho cominciato a tenere per loro e a chiedermi che faccia avessero. Soprattutto per quella in cui mia madre con in mano un microfono sta schiacciata contro una negra sotto un cartello che dice “libertà alle nostre sorelle”, proprio quella negra nella foto che potrebbe essere la nonna di quella che c’è qui. Continua a sorridere, si stringe le tette senza sapere quanto è costato poter fare quel gesto. Io lo so, sulla libertà io ormai so tutto, più della negra, più di tutti quelli che cominceranno a pendere dalla labbra di mia madre tra un po’, più del prete che sorride nei manifesti appesi.
Quando ero piccola, e quando lei ancora non aveva i capelli bianchi e si sdraiava sui binari per fermare i treni me lo ha detto che cosa è la libertà; ho sentito poi tutto il resto seguendola nei suoi comizi, nelle celebrazioni e via dicendo, mentre parlava davanti a persone uguali a quelle che ci sono qua stasera. E’ un caso che io ci sia, non ho più nessun dovere nei suoi confronti. E’ strano però dopo tanto tempo sentirla parlare delle stesse cose, tirare fuori quella rabbia sociale che ai tempi era così di moda. Adesso non fa più paura a nessuno, adesso crea solo tenerezza. Va avanti a raccontare le sue bugie, mantiene fede alla sua storia, non può fare altro. Si mette davanti al microfono e ci racconta del suo prete, ci dice come l’ha vissuta lei quella storia e come rivoli di tutto quello che è successo lassù si sia propagato misteriosamente per l’universo. Parla di mio padre, ne da la sua versione. E' patetica: racconta della maternità non voluta, la fuga con me in grembo quando il prete della rivoluzione stava fondando la sua scuola. Ci dice della loro “intimità”: successe una sola volta e nevicava. Poi ricomincia, dicendoci che la sua vita si trasformò in una fuga e in una missione. Gli anni difficili della separazione, i rifiuti del prete, la traversata dell’oceano e l’approdo al Greeniwich Village, gli anni Bohemien e tutto il resto – stento e resurrezione, fatica e successo, poi l’insegnamento, i cortei, il secondo matrimonio, e finalmente la celebrità: tre libri in più di trent’anni, tutti racconti – che parlano di donne, del Village. Il prete era morto ormai, e pian piano si era posato chissà dove nella sua memoria l’afflato che penetrandola l’aveva trasformata. E adesso guardatela qua davanti al microfono – lui icona caduta, manifesto appeso – lei voce narrante. Si saranno amati mio padre e mia madre? Di che amore si saranno amati?

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