Monday, December 26, 2005

PROPOSITI DI PER IL NUOVO ANNO:
Vivere ogni minuto del nuovo anno come dentro un romanzo di Benni o Pennac. Rinunciare a chiedersi il perche' del male che ci sta intorno, dell'inadeguatezza e della stupidita' che ci sta dentro, programmare ogni cosa troppo uguale e gia' troppo noiosa senza ragioni, riderci sopra, trovare in ogni angolo dell'ufficio un ufficio piu' grande, riconoscere in ogni gesto la parte sporgente di un universo deformato, sconfiggere il vuoto sovraccaricandolo.
Riempirsi di cio' che ci fa fermare sempre un po' prima e vomitarla quella vigliaccheria. Non arrendersi alla quotidianita', sforzarsi di scovare in ogni istante di vita lo spiraglio per arrivare la' dove la vita e' bollente.
Rinunciare, infine, al bisturi della ragione e salire sul trattore grottesco della follia, ripetersi che da quando siamo nati abbiamo deciso di coltivare cosi' la nostra Terra.

Tuesday, December 13, 2005

SOGGETTO di Virginia
TRADUZIONE dall’inglese di Annalola
(post – dicamo così “fuori verbale”, che vale più per susan che per tutti gli altri lettori).

(Tema: perdita di identità e desiderio di maternità.
Prima inquadratura: un uomo che si guarda allo specchio.
Seconda inquadratura: una giovane donna che culla un neonato schiaccindoselo al petto, gli sussurra con il mento attaccato allo sterno un motivetto ma solo la musica – failananna.
C’è questo uomo, credo, (quello dello specchio?) che vive in una vita, vorebbe cambiare faccia, per quanto bello sia, per quanto curato il suo abbigliamento sia, lui non si sente mai a posto, cambia continuamente stile, perenemmente inadeguato verso se stesso rinnova continuamnete il guardaroba, si fa lampade (soprattutto al viso) che lo portano a spelarsi, vorrebbe alfine cambiare faccia, il colore della sua pelle va assumando l’aspetto di un ematoma giorno e notte, si circonda di cose che vorrebbero richiamare una certa idea di vita (quale idea non viene detto) in questa idea lui vorrebbbe trovarsi – riconoscersi nelle cose che toca quello che è, quello che sente -(questo passaggio me lo ricordo precisamente), lega ad esempio la gomma di un camion sul ramo dell’albero in giardino per fare l’altalena, si rifiuta di comprare i giochi di plastica e legno che si trovano nei supermercati, sceglie di andare in giro con una vespa anni settanta con il casco nero a scodella, non comprerebbe mai uno scooter, per quanto si sforzi con le berrette di lana, le collane etniche, lo sport di fatica, lui è un uomo da centro commeriale e sciata la domanica mattina. E’ così, ma quello che veramente è lancinante per lui è che LUI LO SA.
Così ogni mattina si azzera dentro l’opalescenza dello specchio illuminato del bagno, vede sua moglie appena sveglia preparare il caffeelatte, sente suo figlio ciabattare sul parquette e prova un conato che si rinforza quando sua moglie gli aggiusta la cravatta prima di uscire (potrebbe sembrare la solita parodia sulla vita borghese postmoderna – mi ricorda virginia - ma non è così perché questo uomo è forse la seconda volta che si mette la cravatta). Il ragazzo-uomo è un famossissimo dj/cantante iconona di una non meglio identificata libertà dal conformismo, prodotto commerciale - la sua faccia sa conquistare e al contempo indirizzare i consumi di eserciti di adolescenti. Questo ragazzo proprio oggi sta recandosi ad una importante riunione tra casa di produzione e manager per ricollocare l’immagine di se stesso verso un target di consumatori più forti (gente più attenta al significato, gente che vuole certi valori). Adesso lo sapete: lui vorebbe essere il prodotto di se stesso, vorebbe essere l’immagine che il mercato/mondo ha di lui (quella foto che c’è sulla copertina dell’ultimo disco e lo ritrae con abiti sgualciti e denti da latte), ma per quanto si sforzi lui sa che lui non è quell’altro lui, ma è sempre e solo se stesso. Con pensieri e lacerazioni di questo tipo lo seguiamo mentre si sposta dalla periferia a downtown per il meeting, lì sul raccordo anulare se abbassasse lo sguardo verso l’ultimo anello di asfalto vedrebbe una piccola utilitaria gialla con dentro lui da giovane ventenne che sta portando a spasso “l’uomo misterioso”, ma non guarda quindi non capisce ancora (probabilmente la vista di lui con quell’”uomo misterioso” gli avrebbe fatto ricordare qualcosa). Adesso ci spostiamo nella sala ruinioni con in bocca l’amaro sapore di un’occasione mancata, lì a tappezzare svariati metri quadri di lavagna luminosa ci sono le foto di quello che il ragazzo/uomo dovrebbe diventare: fotografie che mettono in scena l’ultimo tratto della Maturazione ovvero la strategia che lo porterà a mangiarsi il mercato: “profondi significati senza perdere la spensieratezza e la genuinità di un tempo” questo è il sottotilo che il team marketing ha pensato per lui, appeso appena sotto il titolo è ancora più grosso: “IN CAMMINO VERSO LA VERITA’”. Una rapida occhiata alle foto gli basta per per capire che lui è già innammorato di quel ragazzo, una fitta allo stomaco lancinante invece gli da la consopevolezza ancora una volta di non esserci. Così l’uomo/ragazzo tra l’alienazione e l’estasi si aggira per i mogani lucidi sopportando appena il rumore di tutti i tacchi che picchiano il pavimento (anche i suoi adesso – lui che solitamente porta scarpe con la suola in gomma). E a questo punto aldilà del vetro che separa la sala riunioni dal resto dell’open space che vede la ragazza/modella che nelle foto recita sua moglie (nella nuova sua versione), ritorna quella stessa seconda scena della ragazza con in braccio il bambino (una ragazza che culla un bambino non suo): la ragazza-della-prima-scena è la ragazza/modella. Lui non ce la fa e corre verso la finestra e ci si butta fuori fino alla pancia, sotto dieci piani più sotto, le strisce colorate della macchine lo fanno vomitare. Intanto passano l’uomo misterioso e lui dieci anni fa.
(C’è tutto un plot a parte tra lui da giovane e l’uomo misterioso che virginia non mi dice: storia di giovinezza, di fallimento, di perdizione o grazia, “la perdizione è sempre legata alla fame di sucesso” così dice Virginia riposizionando le labbra sulle impronte del bicchiere da vino)
Alla lounge dell’aereoporto di londra penso se trascrivere o no la scenggiatura di virginia, penso che aba ha un modo strano di camminare (l’immagine di uno che si allontana di spalle), fra tre ore ho un aereo per seoul e il mio capo non si è ancora visto, penso che sono diventata molto veloce con la tastiera (oramai non guardo più i tasti), penso che gli aereoporti al lunedì pomeriggio sono dei posti tranquilli dove è facile trovare l’ispirazione. I computer sono gratis. Salutarsi è sempre triste. Susan e paolo partiranno per il viaggio di nozze, magari è in arrivo un figlio. (prima di imabarcarsi per milano aba ha ancora fiato per dirmi di stare in guardia: la temperatura in corea è sotto lo zero, e lì è molto importante avere una grossa automobile per fare buoni affari– “grossa automobile” dice proprio così). Guardo per ore il cielo a ridosso della vetrata mentre penso a tutto questo.

Saturday, December 10, 2005

4 Giorno- ovvero il matrimonio di susan e paolo:

(il giorno 2 e il giorno 3 passano dentro casa di susan, in negozi affolati e in pub, londra è gelata, per le strade le carnagioni sono decisamente chiare e lentigginose, i fumi di scarico e lo smog sembrano poter scaldare il cielo)

La cerimonia è prevista per il pomeriggio (giorno 4) fuori londra, in un piccolo villaggio dove dalla chiesetta si gode un’ottima vista, sono due ore di macchina; il banchetto invece si terrà più vicino a londra ma più spostato a sud rispetto a Horthbook (il villaggio) in un castello scelto anch’esso per l’ottima vista. Tutto è stato organizzato da paolo, paolo è un manierista, detto questo detto tutto.
Io guido la mini di susan, aba al mio fianco parla di birdwatching con un’amica di marianna tale violetta (sposata con inglese, biologa e via dicendo – è da due giorni che parlo solo con italiani trapiantati a londra – sono decisamente una razza a se per alcune caratteristiche che faccio fatica ad isolare). La cerimonia passa, mi pare di riuscire ad individuare i genitori della sposa e quelli dello sposo anche se si mischiano continuamente, qualche ex-punk spettinato con i calzoni troppo corti e micronodi alla cravatta finge una falsa tossicodipendenza. Susan è bellissima, sembra una pecora ( sulla preparazione di susan a pecora si dovrebbe scrivere un post a parte, dico solo che all’allestimento ha pensato esclusivamente la madre piombata in casa alle cinque di mattina pretendendo la nostra collaborazione nel raggere spazzole e preperare impasti vegetali da usare come maschere di bellezza) – dico a pecora perché è letteralmente ricoperta di un manto che è il vello ricciuto dell’animale (mi dirà che lo ha disegnato lei stessa e che il pelo e solo sintetico anche se rende l’effetto). Durante le foto sull’orlo del burrone dove si sporge la chiesa molti mi dicono che come me hanno i piedi gelati: siamo nel pieno del matrimonio.
Faccio scorrere tutto velocemente: il riscaldamento della mini al ritorno che sa di liquirizia, le camicie sporche degli invitati dopo le sei, petti villosi fuori dalle camice dopo le nove, i tovaglioli arriciati sul tavolo come ultima immagine. Si ritorna a casa (ancora la mini la liquirizia marianna e aba).
Parlo tutta la cena con tale Virginia, che scoprirò essere l’insegnante di danza vista il primo giorno, parliamo di cinema e di teatro (in realtà parla solo lei), mi dice che sta lavorando su un soggetto da proporre a una grossa casa di produzione, ha le unghie pitturate di giallo, occhiali praticamente senza montatura, e tutte e due i bicchiari sbavati.

Wednesday, December 07, 2005

1 Giorno - continuazione (rivisto e coretto insieme a susan)
Siamo pronti per andare a mangiare in centro. Aba vorrebbe andare a piedi, a me sembra una cattiva idea. Infilati sul marciapiede sotto casa di susan le nostre ombre si specchiano in un negozio di scarpe. A Londra adesso sta piovendo, tocco i riccioli di susan, aba sale e scende sulle ginocchia: è vestito come prima (senza ghette): un piumino da scii, pile, jeans stretti e scarpe da corsa. Per l’addio al celibato susan ha scelto un ristorante indiano, arriviamo in taxi, mi dicono che siamo a soho, non mi convince quest’aria puzolente e il muro di saracinesche chiuse. Entriamo dentro le luci rosse suffuse.
L’Addio si svolgerà su un tavolo dove si parla solo italiano, dove ci sono solo due maschi, e le donne bevono vino bianco frizzante, tale carolina che lavora nella city ama essere scopata alla texana (provo a immaginare la scena senza commentare), susan mi confida che le sembra brutto, poi dice che non voleva lascire aba a casa da solo "per quello l’abbiamo portato”. L’altro uomo se ne sta muto in fondo al tavolo, con occhi da texano: blu profondi, malinconici, a tratti tempestati dal rilesso della candela. Si parla e si mangia su questo tavolo: aba è viscido e felice, marianna (ricercatrice all’università di londra – nata a modena) è invasata per la guerra e per israele, sta scrivendo la tesi che parla di sociologia e storia ebraica, tiene un cominzio su come la nuova moda new-age si è impadronita dei giovani israeliani, nessuno la ascolta, lei continuerà a parlare anche in discoteca, a un certo punto aba mi chiede se provo pena per lei intanto che la musica in questo locale-scantinato decreta ad ogni nota la fine della genrezione punk. (ci siamo spostati alla seconda fase della serata) siamo ancora a londra ma non più a soho, mi aspetto di più, “i punk sono finiti da un po’” fa marianna alzando l’indice ( non la sento ma immagino quello che dice e comincio a provare pena per me) ----finiamo a casa trasportati da un bus dove finalmente riconosco i colori sdruciti e i legni delle pensiline grattate che hanno fatto grande l’Impero, guardo fuori e vedo qualcosa che mi rimarrà impresso. A casa mentre aba srotola il sacco a pelo, susan si mette a pedalare sulla cyclette, domani si sposa, osservando la scena perforata dall’orizzonte appena acceso dall’alba penso che il minimalismo appartiene a pieno titolo alla realtà.

Nota: Quello che ho visto e che mi è rimasto impresso - la pioggerella riga il vetro del pulman, sono quasi le cinque di mattina, è ancora abbastanza scuro, con i piedi infilati in un erba malconcia un uomo e una donna ci guardano passare, attoniti meravigliati addormantati imbambolati disarmati (…una gamma sterminata di aggettivi descrive la scena che in effetti è solo bidimensionale e progressivamente – mentre è attraversata dal pulman- alla ricerca del suo significato), ignari di cosa gli abbia fatti svegliare all’alba disfarsi delle coperte calde, della protezione che uno prometteva all’altro, per uscire e prima ancora per lascire gli indumenti della notte, mettersi scarpe pantaloni maglione e giacca impermabile provando il freddo della stanza all’alba quando i termosifoni non sono ancora partiti e la luce non può dirsi sicura, non avendo ancora in testa nessun dovere se non il gesto meccanico del tirarsi su, per adesso c’è solo la mattina colorata come un livido, c’è la tampesta delle cose di ogni giorno svuotate del loro senso, tutto tintinna in un equilibrio instabile inumidito dalla pioggia, per noi sono pochi secondi il tempo che passa il pulman, per loro è questione di una mezzora, il tempo che i cani abbino fatto il loro giro al parco, intanto ci guardano senza nulla di umano alla completa deriva del significato, occhi imprigionati all’epoca della riproducibilità di ogni opera d’arte con un bastone che gli penzola dalle mani, rivoli sui raincoats rossi, e due labrador imbalsamati sotto di loro su uno schermo bagnato aldilà del ‘900.
1 Giorno update.
Susan dopo aver letto il post mi dice che sono sovrabbondante, che dovrei cercare di alleggerire il carico, allora dico che ha ragione e che vorrei essere leggera come una piuma, che vorrei farmi sentire appena, muovermi sullo schermo come la neve sul cielo di tokio, susan guarda fuori mentre la sua tazza e' impegnata in fase di atterraggio e dice che lo sto' rifacendo (per via della matafora), mi sento allora come si sente loredana berte' ogni volta che guarda negli occhi qualcuno, poi per fortuna la tazza atterra anche senza il mio aiuto.
E li' che prometto (per me e per loredana) di fare un resoconto ai miei numerosi lettori dei giorni che mi aspettano fuori. (una cosa come la farebbe tommaso phyncon a tavolino con il computer, la stufa e due clemantine sul tavolo). (a dire la verita' ho promesso la neve ed e' meglio - secondo susan - accellerare moravia o perfino un ellroy se si e' interessati al dolore). Io dico che il mio maestro mi aiutera' a sconfiggere il male, perche' phyncon e' peggio di gandalf senza il bastone, lei ride e sempre di culo va dila' a prepararsi per l'addio al celibato.
Martedì- 1 Giorno: quando io e aba si parte per il weekend lungo di santambrogio
Ci lasciamo alle spalle. Dentro l’aeroporto il compagno comunista fruga le tasche alla ricerca di biglietti susandowson, spuntano dalle mani di aba accartocciati come una caramella di gighen, ci guardiamo negli occhi per rubarci le password della nostra vita, bloccato il sistema riavviamo alle spalle, ma vogliamo un’azione simbolica, così scarichiamo il materiale pornografico su cui è schizzata l’adolescenza di aba nelle mani di un bambino trovato al ceck-in, allora partiamo indottrinati da un revisionismo con destinazione certa. Arrivati troviamo susan fuori dalle sliding doors di Hetrow, con i capelli riccioli e gli occhi blu, ci sembra maneggevole per qualsiasi gioco, io e aba ci diamo un’occhiata, solo lui si frega le mani come lucifero. Tutto sembra fatto di pasta di pane, troppo autoreferenziale e poco rodato, aba indossa perfino delle ghette rosse marchiate invicta, il cielo non si vede ma potrebbe essere ruggine Allora usciamo all’aria romantica della perfida albione. Susan ha una macchina di maniera e una sciarpa coi buchi, noi e i bagagli dentro la mini verde sembriamo firmati jacovitti. S accende e un pò di neve smonta dal parabrezza, dice “pronti si parte”, destinazione newcastel. In verità entriamo nel ventre della city che sentiamo subito contratto dall’isteria natalizia, aba vorrebbe spandere un antibiotico in sospensione orale, ma susan lo disillude sorridendo dentro lo specchietto su cui ciondola un virus. Parcheggiamo sotto un albero spoglio e impalato da balle di natale che è facile pensare come le bugie del consumismo. Ma londra è un altro mondo fuori dal mondo, è per questo che parcheggiamo a dodici chilometri dalla casa di susan. Aba non ci sta, io si, ma sulle spalle di aba c’è posto solo per lei, io cammino, mi staccano, aba corre e da lontano le tette di susan sono grossissime, da farmi invidia. Entriamo in una palestra spinti da S, è come la casa di serpico, schiacciata sotto il marciapiede, grigliata di sbarre alle finestre e farcita di un parque lucido dove i muri sono fatti di vetro, sotto susan ha i fusò, aba sempre le ghette, io i jeans. Una signorina su un palco insegna la danza a una cinquantina di ragazzi con la sindrome di down, noi ci uniamo a loro su input di susan che spalanca le labbra asciutte- vermiglie, ci intima di fare come lei: rimane in mutande. Non diciamo una parola ma continuamo a ballare e sudare afflitti da elastici che si imperlano di acqua e sale. Aba non lo riconosco e nemmeno me riconosco dentro lo specchio gigante nella parete difronte, poi si spegne la musica e si rigira lato, rivedo una musicasetta dopo parecchi anni, old style come tutto il resto: la moquette verde all’entrata e i tupè dei ragazzi down, le docce che quando abbiamo finito ci spruzzano un’acqua salmastra da orfanatrofio, ci purificherà la nonna che raccoglie spiccioli all’entrata dello spogliatoio lo assicura un cartello, è cieca ma ci striglia la schiena con una spazzola, ci avvolge in grossi teli bianchi che sanno di lavanda mentre ci guardiamo negli occhi. Riemergiamo in una nebbia senza prospettiva, dopo alcune ore sotto una pioggia che batte orizzontale spunta fuori la casa di susan, come la ciliegina sull’orlo di un cocktail, e si sale le scale e si entra. E’ caldissimo e tutte le luci sono accese, ma non sembra esserci nessuno in casa a parte un gatto che si muove al rallentatore con la coda alzata, lasciamo cadere le borse senza fermarci, il pavimento è di legno dello stesso colore degli scaffali economici ikea, seguiamo susan di sopra, ci aspetta una vasca bollente circondata di candele e ricoperta di schiuma, la vasca ha per bordo un ricciolo di porcellana, entriamo tutti e tre nudi lasciandoci andare, perché susan ci assicura -girata di culo- che andremo in centro per cena.

Tuesday, December 06, 2005

L'inghilterra. Un cappello grigio sotto un paio di occhi. Susan si difende dalla pioggia dentro una nebbia vittoriana, occhi fantasy a casa dopo mille scalini ricoperti di moquette arancione - con il fiatone e le borse della spesa piene di te - i calli sulle mani, gocciolante e nuda(prima goccilante poi nuda) - le renne appiccicate alla finestra con lo scoch, la finestra incorniciata dal vapore, si alza il vapore per le strade di londra di un colore che arriccia i suoi capelli, fuori c'è una pioggia di gingle e di gente che si soffia sulle mani, un santa claus di colleghi che fa scricchiolare le borse di harrod's e di lucine che vanno negli occhi, di guanti tolti per cercare regali, di ghiaccio e coperte, di assi del cesso ricoperti di pelo.....ognitanto susan pensa a un paese senza umidità, condiscice con la marmalleta del suo breakfast questo cielo di brianza assediato da una nuvola delle dimensioni di san pietro.

Saturday, December 03, 2005

Stasera nevicava, mi sentivo dentro una canzone di masini e c'era pure una nebbia di nuvole malboro, sullo sfondo una figura come un tatuaggio sull'avambraccio di un cammionista, era la famosa compagna del liceo insieme e una metafora ardita, non quella che voleva fare la velina ma francesca che faceva copiare i compiti a tutti senza sentirsi da primo banco:

- Ciao (sorriso)
- Ciao (fastidio provocato da un imbarazzo forte che si vuole nascondere)
- Come stai? (la bellezza di una donna intorpidita alle cinque della sera)
- Bene e tu? (fastidio sommato al fastistidio di sentirsi sempre la stessa)
- Benissimo (sorriso ancora)
- Ma dai! Cavoli! Ti trovo veramente bene, il lavoro come va? (...)
- Sono contentissima, mi piace, l'ambiente anche...ci sono ragazzi giovani...mi trovo bene (come a contenere l'entusiasmo, la paura di sentirsi invidiata)
Pausa. Sguardi si incontrano. Sguardi scavano dentro sensazioni diverse.
- Dai...e questa estate cosa hai fatto?
- Ho fatto un bambino
-(...)
- Dai non sto scherzando, seriamente, sono incinta.
- Complimenti è una cosa straordinaria.
- Si, io e Davide siamo contentissimi.

Mentre si allontana le guardo gli stivali che sfiorano appena l'orlo della gonna. E senza nessuna allegoria o messaggio cifrato il mio cervello capisce che è ora di lasciare le all stars per scarpe invernali.