Wednesday, December 07, 2005

1 Giorno - continuazione (rivisto e coretto insieme a susan)
Siamo pronti per andare a mangiare in centro. Aba vorrebbe andare a piedi, a me sembra una cattiva idea. Infilati sul marciapiede sotto casa di susan le nostre ombre si specchiano in un negozio di scarpe. A Londra adesso sta piovendo, tocco i riccioli di susan, aba sale e scende sulle ginocchia: è vestito come prima (senza ghette): un piumino da scii, pile, jeans stretti e scarpe da corsa. Per l’addio al celibato susan ha scelto un ristorante indiano, arriviamo in taxi, mi dicono che siamo a soho, non mi convince quest’aria puzolente e il muro di saracinesche chiuse. Entriamo dentro le luci rosse suffuse.
L’Addio si svolgerà su un tavolo dove si parla solo italiano, dove ci sono solo due maschi, e le donne bevono vino bianco frizzante, tale carolina che lavora nella city ama essere scopata alla texana (provo a immaginare la scena senza commentare), susan mi confida che le sembra brutto, poi dice che non voleva lascire aba a casa da solo "per quello l’abbiamo portato”. L’altro uomo se ne sta muto in fondo al tavolo, con occhi da texano: blu profondi, malinconici, a tratti tempestati dal rilesso della candela. Si parla e si mangia su questo tavolo: aba è viscido e felice, marianna (ricercatrice all’università di londra – nata a modena) è invasata per la guerra e per israele, sta scrivendo la tesi che parla di sociologia e storia ebraica, tiene un cominzio su come la nuova moda new-age si è impadronita dei giovani israeliani, nessuno la ascolta, lei continuerà a parlare anche in discoteca, a un certo punto aba mi chiede se provo pena per lei intanto che la musica in questo locale-scantinato decreta ad ogni nota la fine della genrezione punk. (ci siamo spostati alla seconda fase della serata) siamo ancora a londra ma non più a soho, mi aspetto di più, “i punk sono finiti da un po’” fa marianna alzando l’indice ( non la sento ma immagino quello che dice e comincio a provare pena per me) ----finiamo a casa trasportati da un bus dove finalmente riconosco i colori sdruciti e i legni delle pensiline grattate che hanno fatto grande l’Impero, guardo fuori e vedo qualcosa che mi rimarrà impresso. A casa mentre aba srotola il sacco a pelo, susan si mette a pedalare sulla cyclette, domani si sposa, osservando la scena perforata dall’orizzonte appena acceso dall’alba penso che il minimalismo appartiene a pieno titolo alla realtà.

Nota: Quello che ho visto e che mi è rimasto impresso - la pioggerella riga il vetro del pulman, sono quasi le cinque di mattina, è ancora abbastanza scuro, con i piedi infilati in un erba malconcia un uomo e una donna ci guardano passare, attoniti meravigliati addormantati imbambolati disarmati (…una gamma sterminata di aggettivi descrive la scena che in effetti è solo bidimensionale e progressivamente – mentre è attraversata dal pulman- alla ricerca del suo significato), ignari di cosa gli abbia fatti svegliare all’alba disfarsi delle coperte calde, della protezione che uno prometteva all’altro, per uscire e prima ancora per lascire gli indumenti della notte, mettersi scarpe pantaloni maglione e giacca impermabile provando il freddo della stanza all’alba quando i termosifoni non sono ancora partiti e la luce non può dirsi sicura, non avendo ancora in testa nessun dovere se non il gesto meccanico del tirarsi su, per adesso c’è solo la mattina colorata come un livido, c’è la tampesta delle cose di ogni giorno svuotate del loro senso, tutto tintinna in un equilibrio instabile inumidito dalla pioggia, per noi sono pochi secondi il tempo che passa il pulman, per loro è questione di una mezzora, il tempo che i cani abbino fatto il loro giro al parco, intanto ci guardano senza nulla di umano alla completa deriva del significato, occhi imprigionati all’epoca della riproducibilità di ogni opera d’arte con un bastone che gli penzola dalle mani, rivoli sui raincoats rossi, e due labrador imbalsamati sotto di loro su uno schermo bagnato aldilà del ‘900.

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