Wednesday, December 07, 2005

Martedì- 1 Giorno: quando io e aba si parte per il weekend lungo di santambrogio
Ci lasciamo alle spalle. Dentro l’aeroporto il compagno comunista fruga le tasche alla ricerca di biglietti susandowson, spuntano dalle mani di aba accartocciati come una caramella di gighen, ci guardiamo negli occhi per rubarci le password della nostra vita, bloccato il sistema riavviamo alle spalle, ma vogliamo un’azione simbolica, così scarichiamo il materiale pornografico su cui è schizzata l’adolescenza di aba nelle mani di un bambino trovato al ceck-in, allora partiamo indottrinati da un revisionismo con destinazione certa. Arrivati troviamo susan fuori dalle sliding doors di Hetrow, con i capelli riccioli e gli occhi blu, ci sembra maneggevole per qualsiasi gioco, io e aba ci diamo un’occhiata, solo lui si frega le mani come lucifero. Tutto sembra fatto di pasta di pane, troppo autoreferenziale e poco rodato, aba indossa perfino delle ghette rosse marchiate invicta, il cielo non si vede ma potrebbe essere ruggine Allora usciamo all’aria romantica della perfida albione. Susan ha una macchina di maniera e una sciarpa coi buchi, noi e i bagagli dentro la mini verde sembriamo firmati jacovitti. S accende e un pò di neve smonta dal parabrezza, dice “pronti si parte”, destinazione newcastel. In verità entriamo nel ventre della city che sentiamo subito contratto dall’isteria natalizia, aba vorrebbe spandere un antibiotico in sospensione orale, ma susan lo disillude sorridendo dentro lo specchietto su cui ciondola un virus. Parcheggiamo sotto un albero spoglio e impalato da balle di natale che è facile pensare come le bugie del consumismo. Ma londra è un altro mondo fuori dal mondo, è per questo che parcheggiamo a dodici chilometri dalla casa di susan. Aba non ci sta, io si, ma sulle spalle di aba c’è posto solo per lei, io cammino, mi staccano, aba corre e da lontano le tette di susan sono grossissime, da farmi invidia. Entriamo in una palestra spinti da S, è come la casa di serpico, schiacciata sotto il marciapiede, grigliata di sbarre alle finestre e farcita di un parque lucido dove i muri sono fatti di vetro, sotto susan ha i fusò, aba sempre le ghette, io i jeans. Una signorina su un palco insegna la danza a una cinquantina di ragazzi con la sindrome di down, noi ci uniamo a loro su input di susan che spalanca le labbra asciutte- vermiglie, ci intima di fare come lei: rimane in mutande. Non diciamo una parola ma continuamo a ballare e sudare afflitti da elastici che si imperlano di acqua e sale. Aba non lo riconosco e nemmeno me riconosco dentro lo specchio gigante nella parete difronte, poi si spegne la musica e si rigira lato, rivedo una musicasetta dopo parecchi anni, old style come tutto il resto: la moquette verde all’entrata e i tupè dei ragazzi down, le docce che quando abbiamo finito ci spruzzano un’acqua salmastra da orfanatrofio, ci purificherà la nonna che raccoglie spiccioli all’entrata dello spogliatoio lo assicura un cartello, è cieca ma ci striglia la schiena con una spazzola, ci avvolge in grossi teli bianchi che sanno di lavanda mentre ci guardiamo negli occhi. Riemergiamo in una nebbia senza prospettiva, dopo alcune ore sotto una pioggia che batte orizzontale spunta fuori la casa di susan, come la ciliegina sull’orlo di un cocktail, e si sale le scale e si entra. E’ caldissimo e tutte le luci sono accese, ma non sembra esserci nessuno in casa a parte un gatto che si muove al rallentatore con la coda alzata, lasciamo cadere le borse senza fermarci, il pavimento è di legno dello stesso colore degli scaffali economici ikea, seguiamo susan di sopra, ci aspetta una vasca bollente circondata di candele e ricoperta di schiuma, la vasca ha per bordo un ricciolo di porcellana, entriamo tutti e tre nudi lasciandoci andare, perché susan ci assicura -girata di culo- che andremo in centro per cena.

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