Sunday, September 30, 2007

MinimumFax 1.bis
Lavoro di notte. Roma in questo periodo mi ricorda la campagna – un tepore che durerà pochi giorni, presto sarà di nuovo autunno. E' così tutti gli anni.
Sento il rumore dei motorini. E' buio.
Io sono Martina Testa e sto lavorando alla traduzione della prima raccolta di racconti di D'ambrosio che uscirà in autunno. Non ho ancora 33 anni e seguo le immagini facendole scorrere da una lingua all'altra, le srotolo e le riarrotolo – sono la prima estranea ad entrarci – una traghettatrice. E' la cosa più bella che abbia mai fatto – insieme alle bolle e all'amore sulla spiaggia – traghettare dalla vita alla morte e dalla morte alla vita. Non mi sembra di lavorare eppure lo sto facendo – la finestra è aperta. Qui il tempo si è fermato, adesso si sta muovendo altrove – io sono là dove la notte è infinita, e ci sono ombre scure intorno alla luce. La mia scrivania si divide tra il giallo pesto e il nero. Alzo e abbasso la testa, guardo fuori. Paolo mi chiama: “Dai Martina vieni a letto!” Non capisce, o lo fa apposta. “Lasciami lavorare ancora un po', poi arrivo” gli rispondo. Sto ancora qui con Jones e la ragazza e non so se ha sentito. Paolo dov'è?
La notte romana è chiusa dentro il rettangolo della finestra, nel suono dei motorini, sulle frequenze di una voce che arriva da là - tra le lenzuola – smorzata dalla luce gialla della scrivania. Tutto ha l'equilibrio furtivo di un'immagine sovrapposta alla telecamera di un caveau durante una rapina: c'è una specie di calma subacquea intorno alla piscina dove sono adesso – Jones e la ragazza, sembra di stare fuori dal mondo: la notte crepita e immagino uno spazio galattico – la spirale lattiginosa di un universo in espansione, qualcosa del genere. Jones appoggia la ragazza sulla superficie dell'acqua come fosse una sirena, l'acqua si inclina, oscilla – suona il telefonino: la piscina, il cielo e il fondale illuminato vanno in mille pezzi dentro una cascata di vetri – è Nicola che non riesce a dormire e mi chiede se ho voglia di passare. Appoggio il telefonino e mi avvicino alla finestra. Dilà Paolo si è addormentato. Quanto ci metto fino a Nicola? Guardo i tetti di Roma, mi gorgoglia lo stomaco, è quasi l'una.

Friday, September 21, 2007

MinimumFax 5.
Ma non dico niente, mi limito a mettere il cd sul tavolo. Lui si siede sul divano. Guardiamo tutti e due la parete – non posso non pensare alla mia copertina preferita. La tappezzeria è a motivi floreali. Soli infuocati galleggiano nel blu completamente uniformi . La carta da parati è un lascito degli anni '60, oggi non si usa più. Una grande cornice, ancora prezzata in lire, che contiene foto di persone più o meno morte, senza nessun ordine o legame apparente. Lo so a cosa stai pensando, mi dice, stai pensando a quanto ti irritano i mie giochetti da intellettuale. Certo non immaginavo di trovarti qui, nella penombra, scalzo, con quello sguardo da scienziato pazzo a riempirmi di gadget che sembrano appartenere alla trama postmoderna di qualche romanzo. Ci manca solo che te ne esci con la storia di un complotto. Un tesoro, un testamento da aprire, una nonna ultraottantenne scomparsa. Devo lavorare sulla decodificazione di un codice pieno di disegni a forma di trombetta?… la chiave è nel cd?, o peggio è dentro di me? sono io, mio malgrado, l’eroina che seguirà eventi lungo incastri prestabiliti, una scia tra l’oceano e il cielo, due blu allacciati dal sibilo del vento e dal rumore della risacca? Una storia che non finisce? Una tisana? Una sigaretta?, No, dai! Non ho voglia di parlare di libri, preferisco fumare guardando la cupola di San Pietro prendere fuoco…Non fare quella faccia—C’è dilà mia nonna Martina, te la vorrei presentare. Guardo verso la cucina sbucare su un triciclo meccanico una vecchietta dotata di chignon metallizzato. Non ci credo. No, voglio tornare a casa. E questo credo di averlo detto.
MinimumFax 4.
Indossa una camicia scura con sotto una maglietta a girocollo, è seduto vicino a me sul divano. Ho in mano il libro e faccio le domande. La copertina color panna sembra disegnata da Munari: il nome dell’autore e il titolo in alto, poche linee essenziali lungo i bordi. Basterebbe togliere le sovraccoperte per rimediare al disastroso design editoriale della Bompiani. La copia che ho in mano è così fitta di parole che sembra la trama di un tappeto. Pennarello rosso davanti e dietro. Mi dice che è un regalo per me, che devo pensare al libro solo come a un supporto, e che - se voglio - lo potrò leggere, ma solo quando tutta questa storia finirà. Quale storia? Dice che quello che conta è il messaggio, che dovrò studiare il suo messaggio/biglietto/copertina a casa. Me lo strappa dalle mani appoggiandolo sul tavolino sopra una copia del Seminario sulla gioventù. Poi mi da un cd, di quelli vergine, la custodia è senza foglietti di intersezione, ci vedo dentro il disco color oro, con una scritta a pennarello: Cosa significa tradire. Ovvero le ragioni che ti hanno fatta venire qui stasera. Me lo porge, e io lo guardo da vicino, riconosco un’altra scritta più piccola che segue il contorno rotondo del cd e dice ancora più oscuramente: Realtà letteraria o teorema matematico. Guardo la faccia di quel deficiente del mio collega che sorride come un infame.

Thursday, September 20, 2007

MinimumFax 3.
Nicola prende il libro e me lo mette davanti, mi chiede se l’ho già letto. Il nome è scritto piccolo in alto e non lo riesco a vedere, ma me la ricorderei una copertina così. Si alza e va verso la finestra. Si ferma. Rimane di spalle, ha le mani giunte dietro la schiena, come uno che contempla qualcosa sporgendosi dall’alto. Parla senza guardarmi. L’hai letto? Letto cosa’…ti ho detto di no. Stai leggendo? Ne ho due iniziati, ma non ho tempo, mi devo ancora riprendere da McCharty e sono già dentro fino al collo con D’ambrosio. D’ambrosio ha scritto i racconti più belli degli ultimi anni. Lo so, se escludiamo Lui In Persona. Già Lui In Persona. C’è anche quello di Anthony Doerr. Si, ma è troppo poco, è un racconto solo. Ma è folgorante. Troppo poco. Troppo poco, cosa vuol dire? Lasciamo perdere, su Doerr non ho più voglia di discutere. Te l’ho già detto. Io non riesco ancora a capire come un libro come About Grace non sia tradotto. Complimenti! Sei sulla prima pagina di Repubblica. McCathy è sulla prima pagina di Repubblica non io. E di quello che mi dici? L’ultimo Nesi. Si, ho visto, ma non sono una sensitiva, ti ho detto che non l’ho letto. Dov’è la sovraccoperta? Guarda e dimmi se si può fare una sovracopertina così. Tende il braccio destro, lascia penzolare dalla punta delle dita quella che immagino sia la copertina, poi la molla, il foglio piegato svolazza un po’, e finisce a terra. Rimane con il braccio teso e le gambe aperte. In effetti alla Bompiani le copertine non le hanno mai sapute fare, confermo. Io quando ho visto la copertina di Cuore Selvaggio, volevo morire. La Sgarbi non ha mai pensato di dare una ripulita al suo ufficio marketing? Perché devi sempre essere così caustico. Lo vedi quel libro che tieni in mano. Si Nicola lo vedo. E’ la dimostrazione di come uno scrittore libero dai fardelli esistenzialisti di diventare uno scrittore, voglio dire libero dalla tensione formativa che ti morde il culo quando scrivi un’opera prima, e dalla fregola di riconfermarti che hai con la seconda, libero anche dalla libido di diventare un’autore vero scrivendo il capolavoro, che - di solito - succede al terzo libro, quando uno scrittore di pur modesto talento come Nesi, dimentica tutto questo e scrive un libro semplicemente perché gli viene, forse come una parentesi tra due opere che crede più importanti, ecco allora scrive il suo libro migliore. Non ti sembra la dimostrazione che i margini di miglioramento degli scrittori non seguono una funzione lineare… e sono tutte atmosfere che vengono dagli Americani, vengono dai nostri libri, ha una sua originalità questo modo di raccontare, una sua purezza, ci sono identità vive dentro questo racconto, e se ti sembra di conoscere tutto non ti sembra di rivedere niente, i personaggi vanno con le loro gambe, hanno ucciso i loro padri – hanno ucciso Amanda Davis, Ellis, e ovviamente Lui In Persona, spolpato e digerito -- pensa: nelle prime pagine dice due volte “la cosa più_______ di tutti i tempi”, sai a cosa sto pensando, bisognerebbe subito chiuderlo un libro così, eppure.
Ho attraversato Roma senza motivo, provo a chiedermi perchè mai sono venuta qui, mi guardo per la stanza, Nicola continua il suo pippone, e capisco che mi piace stare qui. Lo penso appena prima che lui si giri, e con le mani messe a scodella intorno alla bocca mi dica: “Ma, Martina, non è per parlarti di questo che ti ho fatta venire”

Wednesday, September 19, 2007

MinimumFax 2.
Ho visto il cruscotto accendersi, all’improvviso - ho ridato su alla chiave tenendo premuto il freno con la mano sinistra, c’era tutto questo rumore gracchiante, secco, come se il motore fosse asciutto, poi mi è successo qualcosa senza accorgermene e il cruscotto è rimasto acceso, non ha più tremolato, il rumore si è sciolto da se, – guardo i tre alberi carichi di foglie e sento uno scoppiettio, tutto si normalizza lungo un’onda fiacca e costante. Basta accelerare. Attraverso semafori lampeggianti – e mattonelle di porfido bagnate dalla luce gialla delle strade. Attraversare Roma in motorino d’estate, che sia un gioco da ragazzi - che non ci si possa fare male - e tu sei di cartapesta sopra un motorino di metallo telecomandato.
Nel cortine di Nicola non si vede più niente – apro un cerchio addosso ai bidoni dell’immondizia, c’è qualcuno che sta manovrando sul manubrio di una bicicletta – potrei suonare ma preferisco salire e fargli una sorpresa – la finestra di Nicola è aperta, c’è la luce del computer o della televisione, lo sfarfallio celeste di una saldatrice in funzione.
L’odore di borgata sulle scale e i passamano di legno smaltato mi mettono tristezza, Nicola apre con la testa piegata, gli occhiali quasi scavalcati e storti sul naso – mi viene di guardargli i piedi, si aggiusta gli occhiali, ma non si toglie quell’espressione da nerd. Lo bacio perché lui non bacia mai, sembra sempre colto alla sprovvista – sento la sua barba e un odore non propriamente buono – è la prima volta che entro qui a quest’ora. Lui mi sorride, sembra stia pensando a qualcosa come a una parola difficile o una frase che non gli viene. Mi da la sensazione di non essere pronto. Si gratta il palmo del piede con le dita dell’altro, dice che mi aspettava, che non vedeva l’ora che arrivassi – che non sapeva con chi parlare di questa cosa se non con me.

Monday, September 17, 2007

MinimumFax 1.
Mi piace lavorare la notte, soprattutto adesso che Roma è tiepida come la campagna. Sento passare qualche motorino ogni tanto. La luce della stanza ha un colore diverso, un giallo più scuro, pieno di ombre. La fine dell'estate è uno dei periodi che preferisco. E' così tutti gli anni. Non ho bisogno di pensare per lavorare. Ho una specie di eccitazione stabile, sottopelle. Poi D'ambrosio non fa che dilatare la mia voluttà. Lui lo sa, e non capisco perchè insiste, - “Dai Martina vieni a letto!” Lo fa apposta, è la terza volta che mi chiama. "Ancora un po' – lasciami lavorare ancora un po', poi arrivo". Non penso a cosa rispondergli, ma credo di averlo già fatto, mi sembra di aver detto qualcosa. Ho i talloni appoggiati sulla sedia, le tibie contro lo spigolo della scrivania. Il cursore stà lampeggiando. Jones ha deciso di portare la ragazza all'ospedale , scende con lei in piscina - penso le frasi in Italiano mentre leggo in Inglese - l'ho fatto una decina di volte stanotte, ormai vedo distintamente la scena, ma non voglio ancora scriverla, non voglio farli uscire, esito – vorrei passare la notte qui. E' un amplesso tra me e lui, tra le nostre anime, una cosa pulita. C'è una specie di calma subacquea sulla piscina dove sono adesso, Jones e la ragazza – sembra di stare fuori dal mondo: la notte crepita, e immagino uno spazio galattico – la spirale lattiginosa di un universo in espansione, qualcosa del genere. Jones appoggia la ragazza sulla superficie dell'acqua come fosse una sirena, l'acqua si inclina, oscilla - - ho lasciato il telefonino sulla scrivania, allungo la mano per prenderlo. Nicola, non riesce a dormire, dice se ho voglia di passare, è quasi l'una, gli rispondo se è scemo, mi risponde di no, sono sicura che sta scherzando. Dai vieni. Appoggio il telefonino e mi avvicino alla finestra, dilà si è addormentato, quanto ci metto fino a Nicola? Guardo i tetti di Roma, mi gorgoglia lo stomaco.

Thursday, September 13, 2007

Ce'chi guarda fuori dalla finestra e c'è chi si mangia i libri
Stavi aspettando tenendoti Underworld sulle ginocchia, non ti sei accorta subito del poliziotto perché eri a pagina 153 quando Cotton trova la palla del fuori campo, stavi dentro la sera in cui il padre di Cotton se la mette nella giacca e esce di casa, così il poliziotto poteva essere lì appoggiato alla Duna viola a discutere con il signore in bicicletta da un po’, non sapresti dire quanto, ti ricordi, invece, esattamente la luce che c’era perchè ci avevi pensato prima e avevi deciso che erano i colori di una giornata come ce ne sono in autunno, lo avevi pensato appena prima di ordinare il panino, prima di iniziare a leggere, ma non sai dire quando hai smesso di leggere , se quando il padre di Cotton esce di casa o prima, ti ricordi solo che quando hai tirato su la testa il poliziotto stava già mostrando un biglietto rigido all’uomo in bicicletta, che poi quell’uomo scendendo dalla bicicletta si è avvicinato al poliziotto, e che gli è andato molto vicino, è stato in quel momento che hai incominciato a interessarti alla scena, hai pensato che c’era qualcosa che la rendeva “speciale”, e se non era per l’espressione dei loro visi e per il tono delle loro voci, avresti detto che l’uomo si stava avvicinando al poliziotto per baciarlo, si era piegato leggermente, e, senza che tu te ne fossi accorta, il biglietto plastificato era già passato nelle sue mani, l’uomo stava cercando di spiegare qualcosa al poliziotto, indossava una canottiera bianca, e a un certo punto, hai avuto anche il sospetto che fosse straniero, più o meno allora il poliziotto si è allontanato leggermente dalla Duna viola, e se adesso sai perché tutto ti sembrò così interessante, allora non ci pensasti affatto, semplicemente guardavi: guardavi i due uomini impietosendoti per l’uomo in canottiera e disprezzando il poliziotto – hai provato a spiegarlo quando ti hanno interrogata, senza riuscirci, adesso però, ti sembra di poter dire che era come al cinema con il “buono” e il “cattivo”, una scena costruita cinematograficamente sui meccanismi dell’immedesimazione, recitata come una parodia, però tutto stava succedendo davanti ai tuoi occhi, tutto era così vero, il poliziotto tirò fuori la pistola e sparò un colpo all’uomo in canottiera, questo lo sentirono tutti ma nessuno vide, come te, il momento esatto in cui cominciò a uscire il sangue dal foro, ti sembra addirittura di avere visto quella piccola cavità circondarsi di un liquido più denso e scuro prima che il sangue cominciasse ad affiorare, è allora che hai pensato alla rivoluzione, rivoluzione è questo che hai detto quando ti hanno interrogata, e forse hai sbagliato perché i poliziotti ti hanno guardata come se fossi tu la colpevole, hanno esitato sul tuo viso come si fa di fronte alle persone morbose, a quel punto era troppo tardi per ritrattare, non ti è rimasto che spiegare dov’era la rivoluzione, poi ti hanno lasciata andare, fuori era buio, e non hai mai più saputo come è andata a finire con il poliziotto, l’unica cosa che sai è che Cotton quella palla non l’ha più ritrovata.

Monday, September 10, 2007

Zero Tolerance For Bad Porno.
"Forse c'è nella vita di tutti un momento buio, così buio come quello che ho passato io – dove pian piano ti accorgi di essere soffocata dalle cose che ti sono più care. E’ il momento in cui capisci che te ne devi andare, è quando l'odio ti comincia a mangiare da dentro. Provi a dimenarti per uscirne, ma è già troppo tardi, non c'è un dentro e un fuori, ci sei tu e basta. Tutto quello che più ti piace e più ti far star bene è semplicemente il contrario di come hanno deciso di vivere le persone che ti sono più care – positivo e negativo sono dentro di te – sono il medesimo. C'è qualcosa di perverso, è una fregatura. Tu ci provi ad allontanarti, ma ti accorgi che la loro vita è la tua vita e i loro gesti sono i tuoi. Non hai niente di diverso a parte la metà in più di odio che ti riempie - l'unico modo che hai di essere te è di farti del male – è lì che vuoi morire, è lì non sai dove andare, e ti senti fregata, sei completamente al buio.
Poi forse arriva un click.

Quando sono entrata per la prima volta nel letto con George... si, credo che sia stato in quel momento, mi sono sentita diversa. La cosa più bella, la più sorprendente, più bella di tutto quello che mi è successo dopo. Ho sentito un click nella testa.
Sarebbe stato bello se nel letto ci fossero state le lenzuola e le coperte rimboccate - io l'immaginerei così se non conoscessi questa storia - qualcosa da tenerci i corpi chiusi dentro, uno spazio riservato e sicuro, ricurvo - dove ci si muove senza aprire gli occhi. Invece non c'erano ne cuscini ne coperte, solo il coprimaterasso bianco. Eravamo completamente esposti. Ma mi sono sentita bene, dentro quella che i miei dicevano “una bestemmia” ci ho trovato sensazioni che cercavo da tutta la vita. Beh, questo vale solo per me, o per chi come me quelle sensazioni le ha costantemente immaginate. Non lo so, non voglio generalizzare. Io - io da quando ero piccola, era tutto quello che mi teneva in vita: la mia testa. Lavoravo di fantasia per uscire, scappavo continuamente....soprattutto quando le cose, anni fa, si stavano mettendo male per me, allora credo che sia stato quel click che ho sentito. Come due superfici levigate che si sovrappongono unendosi – qualcosa tipo questo telefonino che si chiude, sentite?, lo penso così, ma forse non rende l'idea, mi sono sentita come poi mi sono sentita tutte le altre volte che l'ho rifatto…non credo che centri il sesso, il sesso è solo secondario, in quello che sto raccontando.. e mi piacerebbe, questa sera per un'occasione così importante, farvi arrivare il riverbero di quel click, come lo sento ancora adesso, adesso che vi sto guardando negli occhi, tutti voi – è una cosa che mi riempie – semplicemente. Qualcuno di voi crederà che sto dicendo una di quelle cose che si dicono in occasioni come questa, ma io ho sempre sognato fin da bambina di finire così, seduta su una sedia davanti a un pubblico – e credo che tutto questo sia ..... – che tutto questo sia semplicemente dio. Credo che questo lavoro mi abbia permesso di arrivare a lui, di esserne invasa , credo che le vostre facce viste da qui siano la sua incarnazione, tutte le vostre facce, stasera – ed è stato grazie a quella prima volta - è stato quel click che me lo ha rilevato…non so pensate al fruscio di una foglia – contemporaneamente insieme qualcosa si è sciolto dentro di me , da bruco sono diventata farfalla, a poco a poco.
Le migliori cose dell’Amore sono dei regali, e sembrano arrivare per caso, non credete?, questo diceva sempre mio padre è l'ho capito allora, quel giorno, con Giorge – e poi in tutti gli altri giorni che sono seguiti, durante tutta la mia carriera, fino a stasera. Vorrei ringraziarvi tutti: Alessandro, la Star Tack Film, tutti voi, grazie - tutti gli attori con cui ho lavorato in questi quindici anni, Giorge naturalmente, ma questo premio lo vorrei dedicare a mio padre. Grazie".

Tuesday, September 04, 2007

Teatro della crudeltà (23:45)
Ho provato a tagliare in due il mio cuore. Poi mi sono lavata e ho rimesso le mutande. Le ho infilate dopo la gonna come cosa trovata all’ultimo minuto. Il mio corpo fremeva di una nuova vitalità.
Mi sono lavata via l’odore di quel lavoro, il suo sporco – ero già pronta a risistemare il mio cuore, per ricominciare.
Mi sarei portata addosso, per un po’ ancora, la tonicità, tutta sua, di quel demone, sparsa sui miei tessuti: sulle dita, sui palmi, sul petto , sul collo, sulle labbra.
Chiusa in una contraddizione che mi spaventava restituendomi la coscienza della metamorfosi. Corpo senza organi. Segno che meccanicamente ripete se stesso. Zero dietro una maschera. E adesso ritornavo anima pronta a vibrare.
Il mio corpo intessuto da una nuova fragranza – come rivitalizzato dal diapason di una sculacciata,
Ho ripreso ad amare con gli occhi di prima, con le stesse parole.
Posso cambiare. Posso scegliere.

Tenevo gli occhi fissi sulla sua faccia, “do you like that?” “do you like that?”, gli dicevo - sentivo i muscoli del collo tirare – e quando uscivo dall’apnea richiesta con forza dalle sue mani, l’aria aveva un sapore diverso. Ad ogni colpo la saliva si faceva più vischiosa. Troppo dura e densa per disperdersi. Colava in trame di ragno ad ogni respiro. Radice madreperlacea che avrebbe attecchito dentro di me.
Sentivo la lingua e il palato fondersi nell’impasto melmoso che si ingigantiva. Respiravo strozzata. Ogni volta più rauca quando mi liberava dall’apnea.
Lo stavo facevo per me, per l’occhio meccanico che mi puntava, per gli occhi che gli stavano dietro, venivo trasformata da tutti quegli occhi, li sentivo su di me, come feti pronti a nascere dal nulla: cos’ero? – energia sessuale senza nome, vertigine al dilà del pudore, prova evidente delle sfida, negazione dell’ordine sociale, Dioniso pronto a ingoiare.

Ho aperto il mio corpo così, sradicandolo da ogni pretesa, dal significato, dal sentimento – donna cartesiana che si è staccata l’anima e il cuore, conservandoli altrove – pronta poi a rimetterseli in corpo facendoli scendere dalla bocca – per ricominciare a parlare le parole dei sentimenti, come prima, nella differenza tracciata dalla propria libertà. Donna cartesiana che sa amare anche così nella distrazione, nell’oscillare cosciente tra il pieno e il vuoto – nella disposizione incontrollabile e crudele della propria identità. Prima dentro il pieno nel buio della stanza matrimoniale e poi dentro il vuoto di gesti tecnicamente perfetti guidati dall’inebriante animalità della carne, gesti da vedere e da sentire, la cui sola forma è il risultato, il cui solo risultato è il piacere, unico richiamo alla sua perfezione – forma d’arte, capolavoro dei sensi, per chi c’è e per chi guarda, e ci riconosce il bello di una forma, solamente.