Friday, February 24, 2006

Marco si affossa in una discussione sulle origini del cristianesimo, ripete la parola giudaismo mille volte, in maniera sensuale, mi concentro su quella e l’aspetto, la fermo nell’aria, la faccio illuminare con i mie superpoteri- senza farne una questione di significato, voglio la fotografia triste di una ragazza con in mano un martini bianco come in quel film ( scatto l’immagine per il mio blog e mi liscio la stoffa delle scarpe), c’è un viavai silenzioso di monaci che ruminano preghiere verso la stanza di marco, marco è passato a parlare di Pierce con uno stuolo di apostoli a cingergli la poltrona: ragazze dai capelli lisci senza trucco con le gambe incrociate che portano ancora la kefia, lo ascoltano per il significato o per il modo dolce che ha di parlare, sento la parola “averroismo” ma preferisco la prima quella che è ancora sospesa sopra il lavello satinato dell’ikea, dice di non credere di essere il “soggetto” di alcunché, disegna sulla moquette - come se avesse in mano un legnetto su una spiaggia deserta - il triangolo semiotico, qualcuno che esce fa una battuta da camerata, ma marco non si scompone concentrato nel suo vangelo, dice che il segno non è una cosa, ma una relazione, come l’esperienza, per questo è il nocciolo filosofico per eccellenza, dice di non credere all’interpretazione, in questa superstizione della modernità cartesiana, dice con l’impeto del puttaniere che siamo sempre e solo interpretati –adesso il flusso delle sue parole ha la frequenza gagliarda e piaciona dell’avanspettacolo – i pantaloni di velluto marrone sono pieni di cenere; lui si alza mette in discussione l’identità storica del figlio di Dio sbattendo la punta delle clark sul triangolo semiotico, poi si accheta mentre la cenere lentamente ritorna a terra in strisce diritte. Così sprofondato aspetta l’obbiezione, la domanda intelligente, facendo luccicare gli occhi. Una ragazza come le altre con la riga in mezzo e i capelli sotto le spalle aggiunge che l’aveva letto anche lei questa estate il Codice Da Vinci – e che era tutto vero. Mi assopisco sul primo piano di due sigarette dentro un fondo di bicchiere, i monaci continuano ad entrare e uscire dalla stanza di marco, marco riprende a parlare di medievo, della dottrina dei Benedettini, di come diffondevano la cultura ai villani, costruendo un monastero dopo l’altro, tale che da ogni monastero si poteva vedere quello successivo, così, prorpio così, i Benedettini hanno costruito il telaio dell’Europa Moderna, dice.

Tuesday, February 21, 2006

Partiamo dall’inizio
Allora dobbiamo partire da un mese fa
Quale è la cosa più bella che hai visto oggi?
Un tipo che assomigliava a Gianfranco Funari sull’ascensore, la nebbia….
Me lo hai portato il sogno?
Sono entrata in ascensore con il sogno in mano. Ma mi è caduto, non ho numerato le pagine.
Sono tre, lasciamele.


Annalola sai che dobbiamo dirci tutto (piega il mio sogno in due e lo mette dentro un libro dell’enaudi con un clown rovesciato sopra).

Il sogno ovvero la prima e ultima cosa che faccio per recitare questa farsa sceneggiata da mio padre.
“Sto per morire, non so bene perché, ma mi sento importante. Fuori dalle mura del mio palazzo la gente si dispera, ma dentro è solo un labirinto di stanze vuote, grandissime, dove mi aggiro con una vestaglia slacciata, la cintura mi striscia per terra: ho la sensazione che si stia per sfilare ad ogni passo (dico tra me e me che la devo allacciare ma al contempo mi sembra un gesto inutile).
Fuori dalle mura furoreggia la battaglia (quando me lo dicono vedo tantissima carta sparsa per un bosco su cui si impregna la luce), i nemici sono alle porte, l’assedio imperversa, io sto per morire.
Una morte senza sofferenza, come una scadenza da rispettare.
Sul divano (divano verde fatto con la stoffa di una brutta tappezzeria) ci sono pacchetti di patatine aperti ma non finiti (mi chiedo se qualcuno verrà a pulire ma al contempo ho il terrore che debba essere io a farlo).
Sono lì seduta quando mi comunicano che il mio Ultimo Desiderio prima di morire è quello di essere fecondata (non sono però sicura di desiderarlo). Mi comunicano altresì che non sarò io a scegliere l’inseminatore, lo farà la mia ex-amicadelcuore. Lo sceglierà tra i maschi del regno (sono una principessa? l’età dei pretendenti ha dei limiti di decenza? niente mi viene detto).
Lei arriva subito e mi sembra terrorizzata, si mette al lavoro dentro una stanza in cui sfilano uomini lungo un vetro – è lo specchio che si usa per identificare i sospetti.
Passano le settimane, le porte della città stanno per cadere, un personaggio magrissimo con in testa un cappello dell’inter mi dice che abbiamo finito l’olio bollente, Finalmente la ex-amica esce dalla sua postazione: non ho mai visto una ragazza tanto stravolta, somatizzo e la lascio parlare, dice che ha ristretto la scelta a due uomini (sono passati due mesi), ma più di così non può fare, andare avanti significherebbe la pazzia - aggiunge, uno vale l’altro, ma appena lo dice viene stretta da una smorfia che le colora le vene del collo e allora si rimette al lavoro.
Non so quanto dopo ma a un certo punto mi fa entrare nella stanza e vedo due ragazzi di una bellezza che fa stringere il cuore, quel tipo semplice ma sexy, hanno tutti e due i capelli a maschietto”

Ummm interessante, la donna è simbolica
Tutto è simbolico
Si sbaglia….mi lasci finire

“Il sogno è pressoché finito perché dopo una settimana lei mi consegna l’uomo, che è quello giusto ( ho la netta sensazione che la trama segua un copione), - lo sento – non lo so spiegare, ma io non sarei riuscita a sceglierlo così (“giusto”) se avessi dovuto scegliere per me. Ho un po’ di classico amaro in bocca (ora per la prima volta mi sembra “tardi”?), mi dirigo verso una porta chiusa strisciando la mia vestaglia mano nella mano con lo sculettante prescelto (vedo la scena da fuori campo: due persone di schiena, un culo nudo).
Poi arriva il surplus di tensione finale come un terremoto che mette al bando i contorni delle cose: mi accorgo che fin dall’inizio il sogno si è svolto alla presenza di un altro uomo –mi piacerebbe chiamarlo l’”uomo misterioso” ma lo conosco benissimo. L’uomo che vorrei fosse “l’uomo misterioso” è completamente nudo ( neanche a dirlo!), con la mascella del duce, un cappello da poliziotto di pelle nera e un rossetto da troia, sotto ha un pene del colore di un livido, con tantissime pieguzze sul sacco delle palle ricamate da contrasti di luce così interessanti da sembrare scolpiti nel bronzo”.


Su questa immagine mi sveglio ne più ne meno
Cara Annalola lei è fritta.(la dottoressa non lo dice, ma mi guarda con un sorriso dolce che è come se lo dicesse) – Mi pare che non c’è bisogno che le chieda chi è l’uomo misterioso?
Siamo sempre lì
Ed è da lì che dobbiamo partire

Quando sono uscita dall’ufficio della dottoressa, già andava meglio, ma non ancora bene come volevo, volevo essere libera di prendere un aereo e partire, il cielo si sfumava di rosa e diventava di un colore più intenso, nero, mi sarebbe piaciuto scrivere incandescente, ma avrei avuto bisogno un tramonto o di un riflesso, era solo febbraio.

Questo cos’è?
E’ quello che succederà dopo.
Sei un bel tipo Annalola, a noi non ci interessa.
Lo so , lasci perdere e ritorniamo a noi

Wednesday, February 15, 2006

Bea mi dice che si diventa più belli quando si ama – dice che non è un’opinione soggettiva ma è mia e tua, fotografabile – ho in mente alcune mie foto, e penso a “Quando si ama”, che è la materia prima di qualcosa che è successo molti anni fa, quando ancora mi piaceva farmi chiamare Triscia e ascoltavo la vocina di Magnum P.I. A tredici anni ero già capace di risolvere giornate invernali in pantaloncini e pezzi sopra, a volte succhiando boccagli neri incrostati da aloni di sale per sentirmi con lui. Mi specchiavo dentro l’armadio a vetro nella stanza di mia madre e ci vedevo uno sfondo di candelabri appoggiati su sacchi di juta. Non mi sbagliavo, mi sarebbe bastato guardarlo negli occhi. Una foto di Cheguevara – a quindici anni quando si ama - basta a tracciare la sua risata scema di bambino, personale curva di gauss da farci muovere il cuore. Promessa che non si muove, anche dopo tremila paia di tacchi, Cheguevara continua così, come dentro la pubblicità di un amaro. Oggi la sento compressa in quel suo impeto rabbioso ed esplosivo sul fondo scuro dei mie venticinque anni: diagramma tutto bizzarro e tagliuzzato come la registrazione di un pensiero paranormale. Se apparivo disadattata era la distrazione d’amore che mi rendeva così.

Monday, February 13, 2006

"Nei due o tre giorni seguenti avevo l'impressione che fosse magicamente tornata a visitarmi la stupida oltranza emotiva dell'adolescenza, con i suoi colori accesi e le linee nette, e quell'impeto un po' barbarico, rozzo e fiducioso verso il mondo, ma senza la fragilità dolente di allora: mi sentivo molto scema, ma era piacevole".

Friday, February 10, 2006

C’è una cosa che mi fa essere triste. Continuo ad aprire la mail e leggo quello che ho scritto, la prima volta mi sembra buono, poi ogni volta peggiora, alla trentesima è tutto così insulso che il miracolo (la forma di ciò che stavo raccontando – perché così l’ho vissuto quella primavera sulle scale dell’università) è sparito chissà dove, dopo la trentesima lettura davanti a quella voce che non è la mia, vorrei essere nessuno piuttosto che quella ragazza che sente e che vive così. Dilà a lui comincerà a parlare quella ragazza, buona tra altre mille, non l’unica che sono io.
Io mi inceppo tra i denti dell’ultimo candidato pensando che ho bisogno di crescere per trovarmi, ma sono già vecchia per crescere, e c’è qualcosa che non funziona allora, ed è proprio qui dentro quella che sono.