Wednesday, June 25, 2008

IO E IL SUO VERO NOME.
Ci sono dei libri che entrano letteralmente nella tua vita. C’è questo libro che è entrato nella mia vita, come un fatto, scuotendola -fisicamente.
Sono a Portland. E' Natale. Sto cercando i racconti di un autore americano. Ho appena finito di leggere Il museo dei pesci morti, tradotto in italiano dalla Casa Editrice Dei Bambini Prodigio. Quei racconti mi sono piaciuti, ma Sceneggiatore, mi è sembrato pazzesco, l’ho riletto tre volte. Quando qualcosa mi sembra pazzesco, devo smontarlo, per vedere come funziona, e rubarne il segreto, e rifarlo. Sceneggiatore è un racconto che parla di uno andato di testa che vive in una specie di manicomio per andati di testa, lui - a dire la verità - non sa bene neanche dove si trova – quello che fa è semplicemente raccontare ciò che "vede", siamo noi che ci immaginiamo la verità per differenza ( è questo è già abbastanza eccitante) : allucinazioni e nevrosi, cinismo e grazia sono mischiate tra dolore e inconsapevolezza, e più la forza della sua visione ci sembra malata più è potente. Le cose prendono letteralmente fuoco e si trasformano sotto i nostri occhi. E’ l'ambiguità che ci parla ma lo fa con immagini bellissime. Come non venire affascinati quando la perversione è potenza creatrice e la lingua “gioco” meraviglioso? Me la sono fatta questa domanda, ma poi ho pensato che c’era anche qualcos’altro. Già! Ci sentivo dentro Poe, e Wallace in questo racconto, e poteva bastare, ma ad ascoltarlo bene ci parlava qualcosa di più istintivo, senza mediazione, cristallino, era come se le fiamme che ustionavano fossero raccontate da un Carver sotto psicofarmaci – voglio dire che in fondo mi sembrava un racconto realista, ecco il segreto.
Comunque sono a Portland - sotto una libreria di legno verde che sembrava arrotolarsi fino al soffitto tanto è alta, “contemporaney fiction” lettera “D”, sto cercando la seconda raccolta di questo autore americano nato nel 1960. La trovo. Quella stessa notte, la notte prima del mio rientro in Italia, leggo il racconto Her real name, e ho la percezione di un piano inclinato e di qualcosa che scivola dolcemente dentro un buco nero intanto che il mondo sparisce. Ripensare a quella sera - pioveva e io me ne stavo sopra le lenzuola, mi da ancora la sensazione di scivolare. D’ambrosio in quaranta pagine, mi ha ucciso, e lo ha fatto con le stesse armi di Sceneggiatore – ma senza scherzare, seriamente, e mi ha fregato, questa volta per sempre.
Forse le cose suonano così perentorie perché ho delle idiosincrasie, e un chiodo fisso. Per me tutta la letteratura racconta la storia di un viaggio, il viaggio di un ritorno a casa, oppure è la storia di un assedio, il tentativo di attraversare una soglia. La letteratura è L’Iliade e L’Odissea declinate all’infinito, pensateci! A ben vedere ogni ritorno a casa, segna il passaggio di una soglia, "ri-tornare" è di per se un'esperienza di morte, perché ogni volta la casa non è mai più la stessa (...) – quindi i due archetipi si risolvono in uno, contenuto in forme e intensità diverse in ogni esperienza letteraria. Her real name è l’esemplificazione scarnificata ed essenziale della fusione di questi due archetipi, ne è anche l’esemplificazione più poetica - che mi sia capitato di leggere - della loro unità. Voglio dire, se quello che sto per dire non suonasse presuntuoso, che in questo racconto c’è tutto. Prendete Bonny and Clyde e Thelma e Luise e metteteci dentro Dead Man, avrete qualcosa di simile a Her Real Name.

La storia è la storia di un uomo che uscito dalla marina, con i soldi del congedo, sta vagando per l’America. L’uomo incontra una ragazza che lavora in una pompa di benzina, lei vuole fuggire dal suo paese e dalla sua gente. Jones, così si chiama, la prende con se. Scopre che la ragazza è gravemente malata, porta una parrucca, i due attraversano l’america dei canyon e dei pellerossa, la ragazza collezione souvenir di quelle storie di battaglie. Durante il viaggio,la malattia peggiora gravemente e a Jones stanno per finire i soldi. La ragazza non vuole andare in ospedale, ne tornare a casa, il padre della ragazza è un predicatore fanatico, la ragazza dice che sarà sulle loro tracce e li ucciderà quando li troverà. Jones prova a farsi aiutare da un medico alcolizzato, ma ormai è troppo tardi. Toccherà a lui portarla al fiume e seppellircela dentro.

Il riassunto che ho fatto fa abbastanza schifo, ma prendetelo per buono così, no anzi dimenticatevene, e pensate a Her real name come un viaggio di un uomo e una donna dentro la morte, oppure alla storia di un amore condensato nel tratto di strada che separa due coste dell’America, è un viaggio all’inferno, in cui si consuma qualcosa di grandioso, che sta al dilà del viaggio e dei suoi testimoni e che ha la forza del rito e della redenzione, è un viaggio religioso che non ha bisogno di Dio e che supera la morte attraverso il rito atavico della sepoltura. È il bigino laico e sbriciolato della divina commedia, senza il chiarore del cielo stellato – senza il purgatorio e il paradiso, lanciato diritto nel fondo torbido di un fiume. Her real name è in tutto è per tutto questo: forse solo il tentativo di questo. Viaggio dantesco, e quindi ancora una volta, fuga dall'"oscurità", nell’unico modo in cui lo si potrebbe fare oggi, sulle tracce delle indiani e dei cow-boy, lungo le strade pop tracciate da Sailor e Lula, tutto sotto falso nome, anzi senza nome.

Se questo vi suona troppo ardito proverò a farvelo capire diversamente...

Tuesday, June 17, 2008

Io e lei stiamo per mettere a soqquadro il mondo. Non abbiamo nessuna urgenza. Questo è il nostro film, siamo completamente sul pezzo come due presenze misteriose. Io sono Conan e lei Lana, no – io sono Conan e lei è La Donna Gatto, perchè Lana è il personaggio più minchione della storia del cinema.
Abbiamo fumato e per scaldarci ci hanno regalato le pastiglie con i disegni dei cerbiatti. E’ come se lei avesse sceneggiato asini bagnati, sigarette, e la casa dei doganieri, quello che c'è qui. Una città chiamata Indastria, giornate primaverili, odore di bosco. Tutto un aggiustarsi extradiegetico di imposture narrative.
Mi ha detto di trattenere il respiro e di cercare la vena, pareva un rosario. Pioveva fragorosamente e senza controllo.
C’e una prestazione aggiuntiva di bellezza nell’alone che sprigiona l’acqua sui suoi capelli, ma non è evaporazione. Nessuno sa cos'e.
Zizi è uscito poi è rientrato. Ancora - come il mese scorso - non ha fatto in tempo a farsi due tiri. Non voleva bagnarsi e se ne stava proprio sotto l’insegna viola che gocciolava “Pussycat”.

Sento che la porta della discoteca si chiude.

Lei è la primavera. I suoi occhi sono più liquidi delle pozzanghere e le mani entrano nel fango come radici. Adesso mi guarda e si sdraia sulla zolla smeraldo. Vorrei essere Joyce per pensarla in questo momento: sotto questo cielo color incudine, colorata con i colori del temporale, e con l’estate che luccica furiosa.
Non sappiamo se perderci nel bosco o rientrare a ballare.
L’avevo presa per le mani sudate di danza, le ho sussurrato nell’orecchio di uscire, e adesso siamo qui -dove piove così forte - per darci il primo bacio. Stiamo aspettando che se ne vadano tutti, abbiamo bisogno di spazio per guardare il lago mentre si riempie fino all’orlo e per baciarci.

Monday, June 16, 2008

Fà talmente freddo per essere giugno
Sono sicuro che le sue mani mi piacciono, anche se non sono delle belle mani. Ha un carattere che non dovrei cercare di decifrare, ma non credo ne in questo, ne in quello che si dice "farsi
trasportare”. All’inizio appena la chiamo è imbarazzata, se è imbarazzata si mette sulla difensiva e diventa aggressiva, scontrosa. So che lo sarà sempre di più nelle diverse fasi che scandiranno la nostra relazione: credo, infatti, che ci litigherò spesso perché lei mi sembra quel tipo di persona che litiga con le persone che ama. Ora non ci ho ancora litigato, anche se due o tre volte mi ha detto “stai calmo, non ti arrabbiare”. Anch'io quindi divento agressivo se vengo messo con le spalle al muro. Penso subito alla percezione che ho di me stesso quando sono con lei, mi accorgo che è diversa da quella che ha lei: l’uomo che sto a fatica costruendo in questi primi incontri non coincide con quello che lei vede e riconosce, non ho dunque nessun controllo sulla situazione. Forse in questo senso la cosa che sta succedendo tra noi ha a che fare con il "lasciarsi trasportare", non mi resta, allora, che arrendermi e incrociare le dita e vivere questa serata come un hippie.

E’ un freddo novembrino, le nuvole sono rasoterra. ( potrei abbracciarla adesso, invece non la tocco. Solo molto dopo le appoggerò il mento sulla spalla mentre lei guarderà una vetrina).
Ti va di andare a bere qualcosa o vuoi già tornare a casa?
No – bere qualcosa
Dove.
Non so – non sono bravo a decidere i posti
Come non sei bravo a decidere i posti

Andiamo la!
No dai, andiamo in vineria
Brava! Non ci avevo pensato, si in vineria! In vineria è molto meglio. Tu sei molto più brava a decidere i posti.

Vorrei parlarle più direttamente e chiederle delle cose più intime che appartengono alla sua vita interiore, lo farei per restituirle in cambio parti della mia, e confrontarle, le chiederei, ad esempio, che approccio usa verso gli amori che stanno nascendo, le chiederei se il nostro è un amore che sta nascendo. E poi le direi che - qualsiasi cosa stia succedendo – per me - questa merita attenzione perché mi spaventa. Allora sentirei il peso di una contraddizione e mi chiederei perché sono qui e sto andando avanti e mi sto lasciando trasportare come un hippie se tutto questo mi spaventa. So che quando camminiamo insieme, quando mi sorride, quando sprofondiamo nel divano della vineria, qualcosa macina in direzione contraria alla mia paura, ma so anche che la mia paura e l’unica cosa che conta. Credo che se anche a lei facessero paura le stesse cose allora le potremo calibrare secondo le nostre esigenze.

Ho deciso che martedì ti vengo a trovare
Ma va! Giù a Milano – no dai, è troppo uno sbattimento
Che sbattimento, io ci vengo ------ ci vengo se per te non è troppo impegnativo, impegnativo mentalmente –dico.
No non venire. Ci mandiamo qualche messaggio.
Qualche messaggio?

Noto che ci sono cose che mi piacciono di lei e cose che non mi piacciono e cose che non so collocare. Tra queste ultime c’è il modo in cui pronuncia la parola “sbattimento”
Noto che rispetto alla scala che rappresenta Quanto Mi Sembra Bella Stasera (dove 0 è la volta che mi è sembrata meno bella e 10 la volta che mi è sembrata più bella) – stasera mi sembra bella 7 e questo - lo decido ora - è il modo più “compiuto” che ha di sembrarmi bella (i capelli raccolti, non lucidi ne troppo puliti, ma non tanto sporchi da sembrare appiccicosi, senza trucco, vestita per una giornata fredda, le labbra scure nella luce soffusa della vineria tagliate in due dall’ombra del lampadario) sopra il 7 tutto diventa impegnativo, e la situazione, qualsiasi situazione sia, pare sempre pronta a scivolarmi via di mano.

Io ti farei salire, ma mi vergogno, è troppo in disordine.
Ti capisco (Non ti capisco proprio, fammi salire!)
Io ti farei anche…
Dai! Vengo su a vedere solo la stanza della Nonna Belarda.

E’ la seconda volta nella mia vita che vengo invitato a salire in casa di una ragazza. Ci trovo un fornello sporco, un libro sul dna, e un letto matrimoniale disfatto, salire mi costa la promessa di un contro-invito (quindi due giorni di pulizia preventivi del mio appartamento). Noto che è sempre una sensazione particolare entrare nella casa della ragazza che ti vorresti scopare, soprattutto se la ragazza che ti vorresti scopare l’hai pensata per metà dell’inverno che è appena passato.