Tuesday, November 11, 2008

LA CUCINA
Marta allunga il braccio come se volesse prendere qualcosa. “Vedi non ci arriverò mai” – dice. Allora il ragazzo si mette la matita in bocca. Suonano le campane. Le prime volte era spaventata – diceva che non sarebbe mai riuscita dormire. Siete venuti apposta per sentire le campane quando era ancora estate. Tu avevi portato le pizze e il vino. E vi eravate messi li in mezzo alla stanza. Il ragazzo è già dall’altra parte, ha le mani appoggiate all’angolo del muro. Il piano di lavoro della cucina può essere ridotto di trenta centimetri dice. Provate a tirare una linea immaginaria, e unite i puntini per aria con i palmi delle mani. Adesso Marta ci riprova e può toccare il punto dove saranno le mensole. Allora il ragazzo segna qualcosa e assicura che chiamerà la ditta costruttrice della cucina per far fare la modifica. Marta si indispettisce per l’aumento di prezzo, mette le braccia conserte e ride, poi ti guarda, c’è silenzio per qualche secondo, senti il respiro del ragazzo e guardi le ombre sul pavimento. Adesso si avvicina e ti descrive la cucina intanto che il ragazzo traffica con il piano immaginario che avete appena disegnato. Ti dice dove saranno la cappa, i mobili, il lavandino, e il piano cottura; ti dice dove finiranno le mensole. Tocca anche il muro con le mani, e ti sembra di vedere i pezzi della cucina prendere forma. Bisogna spostare la cappa, e mettere due prese. Il ragazzo va a frugare nella borsa e tu ti avvicini, vuoi per baciarla o vuoi solo per un istinto di sopravvivenza, sai che comunque non lo puoi fare. Ascolti quello che ti dice standole accanto e ti chiedi se lei lo sa. Marta guarda il ragazzo poi si allontana, gli chiede se il frigorifero non è troppo vicino al termosifone. Guardi il punto della cucina dove c’erano i cartoni delle pizze. Provi a immaginare che luce c’era quella sera e quante volte lei ha sorriso, cose così, momenti in cui siete solo tu e lei. Ti chiedi se non sia un pensiero troppo romantico. Ti giri verso quella finestra da cui si vedeva il sole. Una striscia arancione ripassava l’orizzonte, non ci avevi fatto caso allora, invece adesso che ci pensi ti sembra tutto qui. E quante volte aveva sorriso non te lo ricordi. Saranno state le otto e mezza, la stanza era piena di ombre intrecciate: il campanile, le case di fronte, la ringhiera del terrazzo. Cerchi di capire. Intanto il ragazzo ti passa davanti per andare verso la porta d’entrata. La apre. Dice che ha a paura che il frigorifero non ci stia. Marta si rimette con le braccia conserte. Ogni volta che usa il plurale per parlare delle persone che entreranno in quella cucina ti chiedi se sta pensando a te o a qualcun altro. Ci sarà un’altra persona che entrerà in quella cucina con lei, tu lo sai. Preferisci avere paura quando dice “noi” perché non vuoi dare nulla per scontato da qui alla fine. Avevi portato i bicchieri e il vino bianco, vi siete seduti per terra con le gambe incrociate. “Guarda com’è sporco” ti aveva detto, poi aveva premuto una mano sulla piastrella ed era rimasta l’impronta sulla polvere. Ricordi perfettamente come era vestita e cosa hai pensato. Pensi sempre a quello quando la vedi. Come adesso. Lei ti dice sempre che non lo riesce a fare. Però ci sei arrivato vicino quella sera, hai appoggiato la tua guancia sulla gonna tesa, hai sentito l’incavo della pancia e le hai preso le ginocchia tra le mani. Vi siete baciati, poi tu le hai detto che non ce la facevi più ad aspettare. Siete finiti contro il muro, ma non è bastato. Ti ha detto che non ce la faceva a dirgli la verità. Che non sapeva perché ma non ce la faceva. L’hai anche pregata. Poi avete finito il vino. E ti sei detto che questa volta non sarebbe finita come tutte le altre volte. E ci credevi, ci credi sempre finché poi non succede. Adesso tiene gli occhi fissi sulla nuca del ragazzo, non riesci a catturarle lo sguardo, a stabilire un’intesa complice con lei. Sta misurando il muro tra la porta e il termosifone. Si era tirata indietro proprio lì - appoggiandosi al muro, ti chiamava con la bocca, immaginavi la sua bocca. La luce arancione era sparita, la stanza si era avvolta nella penombra, e i rumori della strada sembravano diversi. Avevi nella testa il campanello di una bicicletta quando si è scostata un po’ la gonna per chiamarti e tu ti sei arrabbiato. Allora glielo hai detto che doveva scegliere. Sembrava confusa e ti ha chiesto di avvicinarti. Le hai detto di smetterla. Così siete rimasti li al buio a parlare, le hai ridetto le cose che già sapeva, quelle che vi siete dette un milione di volte. Lei era di gomma. Il fatto che non riusciva a scegliere a questo punto lo consideravi un rifiuto. Ti sei sentito forte quando hai detto queste parole. Poi ti sei sentito triste mentre lei ti ha gurdato senza rispondere. Il silenzio di quella sera era diverso da quello che c’è qui ora. Ok? Ok le hai risposto. E sei uscito lasciandola al buio, con i cartoni da raccogliere e la bottiglia da buttare, le finestre da chiudere. Il ragazzo ha finito le misure per la cucina e ha chiamato il suo ufficio per chiedere una conferma sui tempi di consegna. Adesso ti chiedi perché sei qua. Poi il ragazzo si avvicina alla cucina e dice che se non vi piace la cappa la potete spostare, vi consiglia come mettere il tavolo, usa il plurale e coinvolge anche te con lo sguardo nel futuro di questa casa. Marta non dice niente. Sembra tutto così normale. Poi il ragazzo se ne va, prende la borsa e l’ombrello, ti stringe la mano e vi sorride. “E’ un piacere averti conosciuto” dice.
Aspettate un po’ prima di parlare, vi guardate. Ecco, ora lo capisci: siete di nuovo tu e lei. Come va, tutto a posto? Non rispondi. La guardi, credi stia per piangere, speri che lo faccia, ti farebbe sentire più sicuro. Si avvicina e piange infatti. Te lo dice subito che è incinta. La tua risposta sarebbe diversa se fosse sincera. Le chiedi se è sicura. Poi ti spiega. Allora ripensi a tutte le volte che lo avete fatto. E non puoi proprio credere di essere stato tu. Di chi è le chiedi. E’ tuo. Come fai ad essere sicura. Lo sono. Ve ne andate. Pensi come dovrebbe comportarsi una persona innamorata. Le guardi gli occhi, l’aria autunnale è piacevolmente fredda, rigenerante, non sembra più abbia pianto. Ti chiedi se lui lo sa, ma non glielo vuoi domandare. Non riesci a ponderare quello che sta succedendo, e ti spiace dirlo ma in fondo sei felice, sei felice che è tornata, che in qualche modo dipende da te. Così vi avviate insieme verso casa, aspettate il tram, e ne continuate a parlare.

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