Tuesday, September 04, 2007

Teatro della crudeltà (23:45)
Ho provato a tagliare in due il mio cuore. Poi mi sono lavata e ho rimesso le mutande. Le ho infilate dopo la gonna come cosa trovata all’ultimo minuto. Il mio corpo fremeva di una nuova vitalità.
Mi sono lavata via l’odore di quel lavoro, il suo sporco – ero già pronta a risistemare il mio cuore, per ricominciare.
Mi sarei portata addosso, per un po’ ancora, la tonicità, tutta sua, di quel demone, sparsa sui miei tessuti: sulle dita, sui palmi, sul petto , sul collo, sulle labbra.
Chiusa in una contraddizione che mi spaventava restituendomi la coscienza della metamorfosi. Corpo senza organi. Segno che meccanicamente ripete se stesso. Zero dietro una maschera. E adesso ritornavo anima pronta a vibrare.
Il mio corpo intessuto da una nuova fragranza – come rivitalizzato dal diapason di una sculacciata,
Ho ripreso ad amare con gli occhi di prima, con le stesse parole.
Posso cambiare. Posso scegliere.

Tenevo gli occhi fissi sulla sua faccia, “do you like that?” “do you like that?”, gli dicevo - sentivo i muscoli del collo tirare – e quando uscivo dall’apnea richiesta con forza dalle sue mani, l’aria aveva un sapore diverso. Ad ogni colpo la saliva si faceva più vischiosa. Troppo dura e densa per disperdersi. Colava in trame di ragno ad ogni respiro. Radice madreperlacea che avrebbe attecchito dentro di me.
Sentivo la lingua e il palato fondersi nell’impasto melmoso che si ingigantiva. Respiravo strozzata. Ogni volta più rauca quando mi liberava dall’apnea.
Lo stavo facevo per me, per l’occhio meccanico che mi puntava, per gli occhi che gli stavano dietro, venivo trasformata da tutti quegli occhi, li sentivo su di me, come feti pronti a nascere dal nulla: cos’ero? – energia sessuale senza nome, vertigine al dilà del pudore, prova evidente delle sfida, negazione dell’ordine sociale, Dioniso pronto a ingoiare.

Ho aperto il mio corpo così, sradicandolo da ogni pretesa, dal significato, dal sentimento – donna cartesiana che si è staccata l’anima e il cuore, conservandoli altrove – pronta poi a rimetterseli in corpo facendoli scendere dalla bocca – per ricominciare a parlare le parole dei sentimenti, come prima, nella differenza tracciata dalla propria libertà. Donna cartesiana che sa amare anche così nella distrazione, nell’oscillare cosciente tra il pieno e il vuoto – nella disposizione incontrollabile e crudele della propria identità. Prima dentro il pieno nel buio della stanza matrimoniale e poi dentro il vuoto di gesti tecnicamente perfetti guidati dall’inebriante animalità della carne, gesti da vedere e da sentire, la cui sola forma è il risultato, il cui solo risultato è il piacere, unico richiamo alla sua perfezione – forma d’arte, capolavoro dei sensi, per chi c’è e per chi guarda, e ci riconosce il bello di una forma, solamente.

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