Wednesday, April 19, 2006

La cosa strana e che io alle selezioni Silvia non l’avevo vista, e non era un “coccodrillo” con quella faccia da quindicenne e la forcina tra i capelli. Me la ritrovai già in stanza con la valigia, come sapete. Sembrava messa lì per me. Devo essere sincera, ai primi tempi, circa un mese dall’inizio, sospettai, o almeno mi piacque fantasticare sul fatto che potesse essere non vera, che fosse una fantasia: ne più ne meno che uno spettro-confidenziale. Giravamo per le stanze del collegio, per la città, per le aule e nessuno sembrava vederla, non che io fossi più prepotente, ma almeno ricevevo qualche saluto dai vecchi compagni di Milano. Lei, fosse vera o no, sembrava invisibile. Una volta mi disse che si sentiva come quelle signorine in taillor che portano il caffè e mettono il cioccolatino sul piattino alle riunioni delle grandi multinazionali, non mi disse esplicitamente quello che io già pensavo, ma credo che a suo modo volesse dirmi proprio quello. Se non era un mio problema percettivo era certo una sua condizione esistenziale, il mio problema aveva comunque trovato un fondamento – quel giorno con il gelato in mano pensai che Silvia volle strizzarmi l’occhio dal suo aldilà e non riuscii a non pensare che la gente che mi guardava ne sapesse molto di più sul mio conto- cose che nemmeno io conoscevo, e che tutte quelle persone, che adesso stavano facendo i finti affari loro, presto avrebbero iniziato a giocare con me – perché in fondo mi disse, mordendo la parte solida che tampona il fondo del cono, era quella in assoluto la parte che preferiva.

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