Thursday, April 06, 2006

C’era un maggio odoroso che avevamo preso per buono, silvia fu prima di tutto pelle bagnata, poi il cielo carbone e le mani sudate. Riusciva ad essere grassa e bella: me la ricordo sdraiata sulla pancia con un libro in mano nella nostra stanza da due. Mi parlava dei colori che rendevano una costruzione di carta il collegio, ed era così stupida: gli occhi da pesce e le labbra d’asfalto marrone – leggeva Ramboni e mi diceva che tutto doveva essere così e io le dicevo tutto, perché tutti gli altri li sentivo lontani, cominciammo a stringerci sempre di più, per difenderci - insieme, nelle confidenze, nei corridoi, nei compiti e nei refettori, avevamo imparato a distillare tutta la sofferenza di cui eravamo capaci per soffocare dentro le tinte artefatte della nostra coscienza – l’echimosi e i lividi dei suoi passati amori, io amori non ne avevo allora, scarabocchi di false emozioni create allora per sentirmi come dentro la stanza . Non so che fine ha fatto silvia – ci siamo odiate di un odio feroce con ragioni che adesso hanno perso importanza, futilità morbosa di cui era fatto il nostro amore – chissà se si è sposata e in che angolo della sua stanza ha cacciato i nostri pomeriggi di baci.

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