Tuesday, April 11, 2006

Scoprii anch’io insieme a Silvia, mio malgrado, che gli specchi hanno qualcosa di mostruoso. Senza bisogno di finire tardi la notte. Silvia leggeva davanti allo specchio le poesie con la voce dei cartoni animati. La scoprii una volta da sola poi mi invitò a farlo con lei quando fummo più intime. Era il gioco delle "marionette ridicole". Non mi piaceva quel gioco (lo trovavo infantile e noioso).
Dovemmo provare molte cose davanti allo specchio: Shakespare masticando la gomma con la voce di paperino. Leggeva Flatland imitando la voce di Martellini come nelle telecamere di una partita, scandiva ogni parola come se ogni parola fosse un giocatore del gioco, un effetto nauseabondo che io guardavo dentro lo specchio farsi e disfarsi modulato da una voce e da una smorfia – all’infinito anche per più di mezzora -finche non me ne andavo. Potevo continuare a sentirla per delle ore, di materiale ne aveva sempre fresco – senza velleità – la sera capitava di finire con Chervantes letto dall’originale spagnolo e tradotto direttamente nel dialetto delle sue parti con la voce di sua mamma, che però io non riuscivo a distinguere dalla sua – oppure faceva la versione porno della divina commedia ( naturalmente il V dell’Inf.) in cui le vibrazioni ritmiche delle terzine erano scandite in piccoli colpi che nell’intenzione di Silvia sarebbero dovuti essere "orgasmi falsi e nervosi di vecchie ormai frigide" (o qualcosa del genere - era tutto un gioco di didascalie e tentavi di contestualizzare l’improvvisazione). Di quello che si leggeva non ci si capiva niente e Silvia era la prima a non capirci niente.
Non ho mai pensato che Silvia fosse normale, e devo dire che allora non me ne importava un granchè.

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