Friday, May 06, 2005

Guardo il sole bianco e esco dall’ufficio, in prima fila. Tavoni mi fa un cenno senza alzare la testa. Ha occhiali spessi ma riesce a fare un occhiolino buono per tutte.
Il cemento fuori è pari a un paio di jeans slavati, il reparto sterile spunta due dita da terra – siamo alle solite, usciamo come sei guardie del corpo e sintonizziamo le trasmittenti auricolari, la luce ci stritola nel suo miraggio. E’ come starsene fuori dal mondo: la solita lingua che traballa sull’asfalto, l’aria che c’era sulla pista d’atterraggio in messico nel 1986- tanto per dire- così calda, secca nuova. Ci schiacciamo gli occhiali sul naso. Siamo inghiottite dal pulviscolo. Alla sala riunioni del 4, dietro il solito vortice di cristallo, ci aspetta il capo. Teniamo bassi gli angoli delle gonne dentro un nevischio lunare, il solletico poi l’ascensore d’acciaio.
Tavoni ha la lingua di un pastore e i canini di un pipistrello, massaggia il suo pene con la sinistra a grandi falcate circolari, spegne la luce intensifica i contrasti allenta la cravatta e guarda fuori dall’oblò, lo fa sempre quando andiamo in riunione. Se lo fa girare su grossi cerchi e si sente come su una ruota panoramica ai bordi della città.

0 Comments:

Post a Comment

<< Home