Thursday, March 10, 2005

Allora, se ne sta salendo verso la montagna, voi non lo potete sapere (lo vedete solo di schiena) ma quel ragazzo è mio nonno. Mio nonno ha ottantaquattro anni ed è malato di parkinson: l’anima in fondo a un pozzo, occhi fissi come quelli di un uccello. Nel 1929 è una bellissima giornata di luglio come oggi, quelle che ballano sulle spalle del ragazzo sono scarpe. Le gambe non sono ancora formate, non ci sono peli, i polpacci affusolati, pelle lucida, a me piacciano i polpacci. Canottiera e pantaloni tagliati sopra le ginocchia. Sembra che ci sia qualcosa di importante su in cima, mio nonno ha il fiatone seduto con le gambe in alto sul divano, non mi parla, non mi guarda. Girano due aquile su traiettorie lunghissime, il cielo è sovraccarico, le montagne affondano in lontananza, mio nonno finalmente mi vede, mi fa segno di venire avanti, cammina lungo una collina ricoperta di verde. Arriva in cima e si sporge, il vento gli porta i capelli via dalla fronte, sente odori e riprende fiato. In fondo l’ombra avvolge tutto in un verde scuro sopra un cielo ancora luminoso. Nel centro persone vestite di nero stanno attorno a una bara appoggiata sopra un cavalletto, sul cavalletto ci sono grosse candele elettriche, il ragazzo si ferma un attimo, mio nonno continua a tossire, gli sorrido. La tunica del prete è sbattuta dal vento, gli uomini si tengono la testa e le donne hanno i capelli sciolti. Mio nonno è fermo, mi sembra un funerale americano di quelli che si vedono nei film: non c’è nessuna fossa, la terra è immacolata, l’erba non ha sfumature, gli passa sopra il vento, il ragazzo prosegue, sente le voci levarsi dal fondo. Non ha mai fatto l’amore, non ha pensieri, ha freddo adesso, costeggiata la conca e ridiscende dall’altra parte. E' di nuovo caldo, il sole è basso e rosso da fare impressione, non c’è più erba ma solo terra, il ragazzo scivola fino allo spiazzo e si siede. Mio nonno mi mostra le mani, sembrano due palette. Mentre si sta allacciando le scarpe vede il sole ancora più basso, diritto negli occhi, tagliato in due dall’orizzonte, incorniciato dentro la conca dove è tracciata la pista, dice che sentiva l’odore della terra bruciata dentro le narici, mio nonno ha un sussulto e sgrana gli occhi, arrivano da dietro tre ragazzi e una ragazza, camminano lentamente senza nessuna fatica, come se fosse lì dietro ad aspettare da un po’, il ragazzo è molto teso ha la bocca completamente secca, mio nonno piange. Quando sono sulla linea di partenza il muro di terra e sole che hanno davanti si sgrana come un miraggio, sono 100 metri, in palio qualcosa che non mi vuole dire, la ragazza lascia andare il fazzoletto, le suole scartano, il ragazzo sente ancora le voci arrivare da dietro la collina, conoscerà mia nonna dieci anni dopo, mio nonno adesso corre -corre.

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