Tuesday, February 22, 2005

Aspettavo di trovare una ragione, così novembre non era mai passato, novembre del duemilaequattro. Lui mi dice che non fa differenza, non me lo dice, lo penso io dall’espressione dei suoi occhi, lui mi dice che non succederà niente se andiamo a sdraiarci dietro, questo proprio me lo dice, tanto è successo già tutto. Così mi vedo ancora una volta la radiografia delle nostre vite: ed è fatta come la settimana enigmistica: puntini collegati da righe di biro nere. Penso a lei è un po’ mi fa rabbia quello che sta succedendo, non perché lo sto per fare ma perché lo posso decidere solo io, di cosa stiamo parlando?
Poi comincia a piovere, dovevate vedere come pioveva, non si potevano avere dubbi sotto una pioggia così: scende a fili, ticchetta, tira il “fuori” via dal “dentro” ovunque. La pioggia fa aloni fluorescenti intorno al cruscotto acidi come limoni, incornicia di unto i lampioni, solleva il mondo dalla sua superficie come una figurina bagnata.
Il sassolino nella scarpa che abbiamo deciso di nascondere, lo spazio di riserva, il tempo inceppato dentro il tic tac dei nostri respiri.
Ecco, il sipario si è aperto - un nano che lo tirava: i vetri della macchina si tappezzano dalla condensa come in un effetto speciale, i nostri corpi “dentro”. Apro gli occhi - finalmente - dove non ci sono contorni.
Poi arriva la luce di una torcia sul vetro e ci sbattono fuori: i palmi sulla portiera, “november rain” e il controllo dei documenti. Così mentre il faro della volante si secca noi proviamo a riprendere fiato. Con la mano sugli occhi aspettiamo, finchè viene schedato quello che non era successo con il timbro dello Stato.

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