Thursday, January 11, 2007

Cara Elisa,
mi ha fatto piacere rivenderti dopo così tanto tempo.“Rivenderti dopo così tanto tempo”! Senti cosa possiamo permetterci ora, Elisa, quelle “dolcezze” che un tempo ci facevano schifo. Scusa.
Ho trovato subito la via di casa. Milano non respirava e ho pensato alla scenografia di un video-game sotto la pioggia. Ti ho pensata attraversandola.
Lo sai, non sono mai stato bravo con le parole e sarebbe meglio lasciare perdere, vivere tutto quello che è successo come una bella coincidenza. Prenderla da uomini maturi anche questa cosa, come tutte quelle che ci sono capitate dopo. Ma poi, non ce l’ho fatta, scusa. Tu non appartieni al dopo, tu sei il prima e non c’è modo di farti finire tra le cose degli uomini maturi. Era meglio non succedesse, mi hai risbattuto tutto in faccia. Siamo vecchi ora e non è cosa.
Mi sono fermato per prendere un po’ d’aria, e non capivo se stavo bene o stavo male mentre piangevo. Davanti a me c’era piazza Missori. Eravamo ragazzini. Ti ricordi? Mi capita spesso di pensare a come tutto sia passato, a come la città sia una città diversa dalla nostra. Dicono che il tempo cicatrizzi le ferite, non è vero?
Invece ci sono delle cose mescolate dentro il tuo viso che non sono cambiate. E mi è venuto da piangere. Sono fermo qui adesso. Che cosa devo fare? Ritornare a casa? Loro si, appartengono al dopo, alla parte della mia vita che non ha mai augurato la morte a nessuno. Tu sei il prima e tutto quello che prima non sapevo.
Davanti a me Missori, ipnotizzata dai semafori lampeggianti, giù fino a via Larga, mi sembra quella di allora. I compagni come soldatini lungo la strada. Librerie, negozi di sartoria e ferramenta, là dove adesso ci sono agenzie interinali, frappetterie, parrucchieri. Ti ho vista arrivare sulla vespa come allora. La prima volta che ti ho vista stavi ancora al Berchet e avevi i capelli lunghi. Quanto è lontana e bella quell’estate? L’abbiamo fatto, non è assurdo, sette anni tutti insieme -come duecento come diecimila se dovessimo contare le cose che gli uomini possono pensare e poi affastellare dentro la loro vita. Quando te ne sei andata avrai avuto pure le tue buone ragioni, non me ne frega più niente adesso, quello che mi importa è quello che è successo stanotte e che mi tiene inchiodato qua dentro. Ci avrei giurato che saresti finita con un paio di sandali da bambina, un filo d’argento intorno alla caviglia, e il tuo sorriso, ancora identico a quello a quasi cinquant’anni.
Ha piovuto forte mentre abbiamo fumato alla finestra e vista da là Milano sembrava lontana e immacolata, sembrava si potesse sciogliere sotto la pioggia. Fumare io e te, affacciati alla finestra, soli, dentro il temporale è stata la cosa più bella che mi sia capitata negli ultimi dieci anni. Confesso che quando mi passavi la canna, ti guardavo le mani: sono invecchiate, ma sono sempre le stesse e quello che non riesco a capire è come questa cosa, che mi tiene inchiodato qui, mi sembri così straordinaria e dolorosa. Non so più cosa è giusto, ho ancora voglia di baciarti – e mi sento scemo. Buona notte Elisa.

1 Comments:

Anonymous Anonymous said...

io ogni volta che passo di qui mi viene come un grumo che mi fa bene ma mi soffoca, non so

2:21 PM  

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