Saturday, May 27, 2006

Luciano Ligabue inizia a cantare sotto un cielo blu chiaro. Poi alza la chitarra con le mani, mostrando pochi centimetri di pancia, il cielo adesso è veramente scuro. Non so quanto tempo sia passato. Intorno ai riflettori si è fatta parecchia condensa. E’ una scenografia che ci fa stare bene anche se nessuno ha tempo di pensarci. Il pubblico tutto insieme immagino faccia quello stesso effetto traspirante a guardarlo dall’alto, io faccio parte del pubblico questa sera, e vedo quelli in prima fila che sono solo ombre nella luce accecante dei riflettori, è una cosa che mi rimane sempre impressa anche se lì per lì non ci faccio caso – soprattutto adesso che Luciano Ligabue ha la sua chitarra completamente adagiata in verticale sopra le braccia tese – e canta tenendo le mai alzate e sudando. Devo avere anche pensato che sarebbe fantastico se un personaggio come c’e ne sono nelle sue canzoni finisse dentro un romanzo: uno di quei tamarri di provincia che girano su macchine truccate, i sedili ricoperti di pelle di pecora, e un ventaglio di ciondoli sullo specchietto. Quelli che si mettono la connottiera con gli stivali, portano anelli d’argento e dopo la terza media hanno cominciato a riparar motori – hanno una rabbia strana i personaggi di Ligabue, tutta anni settanta, “sogni di rock’n’roll” e provincia, tutta inquieta e politica a loro modo; bruciano la rabbia dentro la notte, l’alcol e magari la droga, svenuti nello sballo della disco e della “chiavata”, si sentono forti in un sorriso, con quella loro morale primitiva da “lambrusco e pop-corn” e il senso dell’onore che li porta a menar le mani .Selvatici come lo sono i bastardi che mancano la cosa giusta sempre per poco, a me piace pensare che poi alla fine c’è la fanno a salvarsi. Io penso ai personaggi di Ligabue come quelli che sono stati giovani negli anni settanta tra piombo e eroina e hanno vissuto lo “scazzo” e “svacco” della generazione Tondelli, senza la politica, o l’arte o la letteratura o qualsiasi altra cosa su cui immolare la propria disfatta, senza nessuna scusa metropolitana dentro cui chiudere la propria tossicodipendenza, ma tra il bar,l’officina, la discoteca e magari in uno spiazzo sterrato dove finire muso a terra con il naso rotto. Hanno covato la loro tardiva rivoluzione liberi da qualsiasi vocazione “bohemien”, hanno speso i soldi appena guadagnati, inseguendo le donne, rifiutando “carriera” e “professionalità”, in modo istintivo: senza Marcuse tra le mani, o la beat-generation o qualsiasi altra minchiata. Hanno coltivato in modo tutto personale lo spaesamento sulla strada di Kerouac, dentro La Terra Di Nessuno. Me li immagino come ragazzi in fondo genuini, un po’ coglioni, con fisici pelosi e giubbotti di belle che dopo essere caduti si sono salvati pulendosi via il sangue in quello spiazzo polveroso dove dalla loro macchina usciva Elvis intorno al buio e alla polvere illuminata dai fari

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