Friday, September 09, 2005

Era solo una vertigine infilata a occhi chiusi dentro un programma del ’97, il riverbero dello schermo come la scia di una lumaca intorno ai contorni del tavolo di ciliegio, e se i suoi occhi cominciarono a dardeggiare era il punto in cui smisi di capire. Non credevo più nel dio misericordioso che porta buone novelle, neppure nei palmi aperti di chi vende il paradiso, preferivo pensare a una calcolatrice senza sfondo, o al dio di galileo che promette felicità in cambio del QI. Sento la musichetta di apertura del programma come il gingle di natale e la porta che si chiude, poi mi tocca sceliere alla luce turchina dello schermo la destra o la sinistra. Nei suoi occhi si compone l’immagine ortogonale di una parete scivolosa appena tre centimetri dal mio naso, così si riconsuma questo rito miliardi di chilometri lontano da casa, ma non c’è da aver paura, i pugni che ho davanti sono guanti di pelle nera, e la melodia chimica di un wodkasour mi rincula nello stomaco, suona come il violino di andrea e mi fa sentire di ovatta, qui - al principio della Divina Commedia. C’è l’umidità di una cantina e i colori di una soffitta, vorrei un lucernario con la luna per un momento così, ma mi si offrono parole in inglese e un eco di riporto sonoro, poi si arriva al dunque quello in cui si chiede: la pastiglia blu o la patiglia rossa? l’una per guardare in faccia la verità, l’altra per crogiolarsi nella cartapesta, non sei più una bambina, si sfila un canino dalle labbra perché scintilli almeno un pò, anche lui come aveva fatto ------- e prima di lui amleto.

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